mercoledì 19 ottobre 2016

Il razionalismo materico del Mercato Centrale di Roma Termini.



Si è fatto un gran parlare, tra addetti ai lavori e non, del nuovo concept che ha aperto i battenti il 5 ottobre a Roma Termini: si tratta del Mercato Centrale Roma che, come si legge nel comunicato stampa, diventa una destinazione del gusto da vivere.
Una serie di botteghe, allineate nell'ala Mazzoniana della stazione, sul fianco di Via Giolitti, uno spazio amabilmente progettato negli anni '30 dall'architetto Angiolo Mazzoni.
La squadra di tutto rispetto, con il meglio degli "artigiani" romani del cibo: si va da Gabriele Bonci, l'imperatore della pizza nella Capitale, alle carni di Roberto Liberati, al mitico Trapizzino di Stefano Calegari, passando per i fritti di Martino Bellicampi di Pastella, i funghi di Gabriele La Rocca da Oriolo Romano, le paste fresche di Egidio Michelis e i carciofi di Alessandro Conti, storica bottega di Campo de'  Fiori e Luca Veralli con i gelati e semifreddi di Cremilla.


Da fuori regione arrivano Pierangelo Fanti, che venderà cioccolato Steiner e fiori recisi, Beppe Giovale, affinatore di formaggi, Marcella Bianchi con le proposte vegetariane e vegane, l'hamburgher di chianina di Enrico Lagorio, le specialità siciliane di Carmelo Pannocchietti di Arà e la pizza spicchiata di Romualdo Rizzuti.
L'area bar rientra nella Capitale con il Caffé di Franco Mondi di MondiCaffé, mentre al piano superiore la grande "dispensa" affidata alla bottega La Tradizione di Salvatore de Gennaro da Vico Equense.
Ciliegina sulla torta il ristorante, guidato da Oliver Glowing, chef stellato che propone piatti della tradizione romana.


Questo ben di Dio affascina gli avventori con un vero e proprio percorso del gusto, alla portata di tutti dalle 7 alla mezzanotte permettendo finalmente la fruizione degli spazi della stazione con un orario lungo. Ma un fascino che non dovrebbe sfuggire a chi passerà al Mercato Centrale anche solo il tempo di attesa del treno è quello della architettura di questo fianco della Stazione Termini, parallelo ai binari "alti" di Roma Termini, notoriamente dedicati al traffico verso la direttrice tirrenica e l'Aeroporto di Fiumicino.   
L’Ala Mazzoniana, tutelata dalla Soprintendenza per i Beni Culturali, razionalizzò l’edificio laterale di via Giolitti, lungo oltre 300 metri e alto quasi 30 metri: Fu progettato per accogliere i principali servizi ai viaggiatori, con altissime volte in mattoncini a cui fanno da contrasto marmi pregiati.


La Cappa ospitava il ristorante di stazione, con pareti e pilastri in lastre di Marmo ed una vera e propria cappa da cucina (da qui il nome) rivestita anch'essa in marmo, con misure di tutto rispetto; 10 metri di altezza, 15 di lunghezza per una larghezza di 4.
Recentemente ripristinata dopo essere stata destinata ad Air Terminal e magazzino, ospita ora il Mercato Centrale Roma nella monumentalità dei suoi locali.


La pietra utilizzata dall'architetto Mazzoni viene commercialmente denominata Breccia Medicea o Breccia di Serravezza, dalla località omonima da cui veniva storicamente estratta, sita sul Monte Corchia nelle Alpi Apuane. Da Serravezza, le attività  estrattive si sono successivamente spostate nella località  di Stazzema, distante una decina di chilometri verso est.
E' una pietra ornamentale di grande fascino, che genera forti contrasti di colore proprio per le sue origini geologiche, Per la descrizione troviamo aiuto nel database della collezione litomineralogica dell'Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA), da cui sono tratte le notizie qui sotto.
La Breccia Medicea è una pietra ornamentale caratterizzata da un fondo rosso-violaceo o nero, contenente macchie (clasti) di colore assai variabile: bianco, rosa, rosso, verde chiaro o grigio, aventi forma spigolosa, spesso allungata con tendenza all'iso-orientazione, e dimensioni da millimetriche a centimetriche. Sono presenti anche venature di colore grigiastro, larghe da alcuni millimetri a pochi centimetri, ad andamento irregolare.


Questa pietra possiede notevole eterogeneità nell'aspetto, non solo passando da un sito estrattivo all'altro ma anche all'interno della stessa cava. Per questo motivo, con il perdurare della coltivazione nelle diverse epoche, si sono succedute varietà  del litotipo dall'aspetto anche notevolmente differente. La denominazione di Breccia di Serravezza o Serravezza antica (dall'omonima località  di cavatura) può essere utilizzata per indicare i tipi estratti ed impiegati in epoca romana.
La denominazione di Breccia Medicea, invece, può essere utilizzata per indicare i tipi estratti ed impiegati in epoca rinascimentale (quando le cave erano sotto la podestà  della famiglia Medici di Firenze). La Breccia Medicea possiede un fondo violetto contenente macchie gialle, rosse, verdi o grigie, di dimensioni da millimetriche a centimetriche.


Sotto l'aspetto petrografico, la Breccia di Serravezza è una breccia tettonica (roccia sedimentaria clastica), successivamente sottoposta a metamorfismo di basso grado. Il litotipo originario, a composizione prevalentemente carbonatica, ha quindi subito una debole ricristallizzazione, con tendenza all'iso-orientazione dei clasti. I clasti hanno composizione prevalentemente calcitica e subordinatamente dolomitica. Il cemento contiene clorite, ematite (da cui derivano le colorazioni sui toni del rosso-violaceo) e sostanze carboniose (da cui derivano le colorazioni sui toni del nero). Altri costituenti mineralogici accessori sono quarzo e pirite. Oltre al carbonato di calcio e magnesio, quindi, la roccia contiene anche silice e allumina.

Visitare il Mercato Centrale può essere una ottima occasione per ammirare questa unicità architettonica, solleticando il palato con le bontà che ospita al suo interno.

lunedì 10 ottobre 2016

Settimana del Pianeta Terra, dal 16 al 23 ottobre tornano i “Geoeventi” in tutta Italia.

foto Press Play

Torna per il quarto anno la Settimana del Pianeta Terra, il Festival nazionale della Scienza che quest’anno coinvolgerà con 313 Geoeventi” oltre 230 diverse località, enti di ricerca, associazioni, università, evento di cui avevamo già raccontato nei mesi scorsi su Geologia e Cucina.

Obiettivo degli organizzatori: avvicinare adulti e ragazzi alle Geoscienze e promuovere le risorse naturali più spettacolari e poco conosciute del Paese.
Sette giorni di manifestazioni in tutta Italia e decine di migliaia di persone coinvolte: torna per il quarto anno la “Settimana del Pianeta Terra”, il Festival della Scienza che dal 16 al 23 ottobre 2016 trasformerà le città italiane in laboratori a cielo aperto.
Obiettivo del Festival è avvicinare adulti e ragazzi alle Geoscienze, trasmettendo l'entusiasmo per la ricerca e la scoperta scientifica. Per farlo, oltre 230 località italiane per una intera settimana verranno animate dai “Geoeventi” organizzati da università e scuole, enti di ricerca, enti locali, associazioni culturali e scientifiche, parchi e musei, mondo professionale. Dalle escursioni alle visite guidate, dai laboratori didattici e sperimentali alle attività musicali, passando per conferenze, workshop e spettacoli: la “Settimana del Pianeta Terra” offrirà eventi adatti a tutti, valorizzando il patrimonio geologico italiano e mettendo a disposizione l’offerta naturalistica del Paese, fatta di montagne e ghiacciai, grandi laghi, fiumi, colline, coste e paesaggi marini, isole, vulcani. Il festival intende infatti promuovere un turismo culturale, sensibile ai valori ambientali, diffuso su tutto il territorio italiano.
Con i Geoeventi saranno messe in risalto le risorse naturali più spettacolari e poco conosciute che spesso, senza saperlo, si nascondono proprio a due passi da casa.
Con i Geoeventi sarà possibile vestire i panni del Geologo per un giorno” con escursioni per conoscere dal vivo come il geologo raccoglie i dati da Gaia e ne trae una miniera di informazioni per la ricostruzione degli ambienti del passato. Saranno raccontate le mille sfaccettature del territorio italiano: dal Nord al Sud si racconteranno i vulcani, anche attraverso la poesia e la pittura, i laghi e le lagune, le frane e le loro cause. Un occhio di riguardo sarà rivolto alla Basilicata e a Matera con una giornata che presenterà al grande pubblico le peculiarità geologiche della regione, attraverso un viaggio che dal capoluogo lucano condurrà fino alla Capitale Europea della Cultura per il 2019.

Territorio e arte: alla scoperta dei paesaggi della Gioconda
In quanti sanno che il panorama alle spalle della Gioconda esiste ed è ancora oggi riconoscibile? Si trova tra Toscana, Marche, Umbria e Romagna e a svelarlo sarà proprio uno dei Geoeventi della Settimana della Terra, in grado di unire la scoperta del territorio e dell’ambiente a quella dell’arte. Anche la letteratura sarà protagonista con un emozionante viaggio tra le solfare della Sicilia e la storia di Ciaula scopre la luna, capolavoro di Luigi Pirandello.

Nei laboratori in cui si studiano i terremoti
I terremoti sono purtroppo spesso di attualità nel nostro Paese, per questo è molto importante studiare con attenzione i movimenti e gli eventi sismici che si registrano nel sottosuolo italiano per capirne meglio i meccanismi. Tra gli eventi dedicati a questi fenomeni per la Settimana del Pianeta Terra, c'è quello del Centro Ricerche Sismologiche dell'Istituto Nazionale di Oceanografia e Geologia Sperimentale di Udine, che dedicherà incontri e visite guidate ai laboratori dove operano i sismologi e gli esperti del centro, per dare la possibilità di conoscere da vicino il loro lavoro.

Dalla Terra...alla Luna in un GeoeventoViaggiare nello spazio e nel tempo fino a 300 milioni di anni fa: non è fantascienza ma la geo-escursione organizzata sulle Alpi Carniche che porterà i più avventurosi a scoprire depositi sedimentari fossiliferi che 300 milioni di anni fa si accumulavano in uno straordinario scenario fatto di fiumi, delta e mari bassi. Nel Parco Nazionale dell’Aspromonte si incontra invece un Geosito tra i più particolari in Italia, quello della grande Frana Colella, di rilevanza europea ed internazionale: costituisce infatti uno dei più estesi fenomeni franosi d’Europa, in rocce cristallino-metamorfiche.

Alla scoperta delle zolfatare marchigianeChiuse ormai da oltre mezzo secolo, rimane solo il ricordo delle miniere di zolfo delle Marche e di un distretto minerario di importanza mondiale che, dopo la Sicilia, era il maggiore del Paese. L'industria solfifera italiana, che per secoli detenne il monopolio mondiale, ora però non esiste più. Ma come e quando si è formato lo zolfo nelle Marche? Come si estraeva? Che uso se ne fa? A queste ed ad altre domande si cercherà di dare una risposta con attività interattive e un “caffè scientifico” con intermezzi letterari e musicali sul tema, al Museo della Scienza di Camerino (MC).

Sabato 22  ottobre 2016 con l'aiuto degli amici della ProLoco e del Comune di Sant'Angelo Romano, di Ispra (che quest'anno ha  dato il patrocinio alla manifestazione e che organizza ben tre eventi), insieme a Marco Giardini, paleo ed archeobotanico presso l'Università La Sapienza di Roma, vogliamo replicare il successo dello scorso anno, narrando le meraviglie carsiche dei Monti Cornicolani, a nord est di Roma, tra le quali spicca il Pozzo del Merro, la cavità carsica allagata più profonda del mondo (-392 metri).

Per presentare la manifestazione La Settimana del Pianeta Terra ha organizzato due tour con l'intento di dare un assaggio di quello che  saranno gli eventi in programma dal 16  al 23 ottobre su tutto il territorio italiano.
Il primo si è svolto in Valle d'Aosta. Nel secondo abbiamo partecipato anche  noi. Guidati dall'associazione GeoNatura e con l'assistenza delle Guide del Parco Regionale dei Castelli Romani, e accompagnati dagli organizzatori i professori Rodolfo Cocconi e Silvio Seno, sono stati visitati i  centri di Nemi con  l'omonimo lago e  Castel Gandolfo affacciato  anch'esso sul  lago da cui prende il nome.

foto Press Play
E' stata poi la volta  di Tusculum,
foto Press Play

antica città romana, di cui tra  l'altro è ancora conservato il bellissimo teatro e da  dove si gode una vista unica sull'intero edificio vulcanico.

foto Press Play
La visita si  è conclusa a Monte Porzio Catone con la  visita al Museo Diffuso del vino, costituito da tre  sale ospitate in ambienti destinati alla lavorazione e alla conservazione del vino, i cosiddetti  tinelli, dove è stato  illustrato lo stretto legame tra  produzione  vinicola in tutte le  sue  fasi dalla  coltivazione  alla  distribuzione e gli stretti legami  con  il territorio.
foto Press Play

Ultimissima tappa la visita di un'azienda vitivinicola con l'illustrazione del  percorso produttivo con un assaggio di  vini e  prodotti enogastronomici locali.
foto Press Play

Tutte le foto del tour fatte da Gelogia e Cucina sono sulla nostra pagina Facebook:
QUI

°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°

Maggiori informazioni su
Sito: www.settimanaterra.org
Facebook: Settimana del Pianeta Terra
Twitter: @SettimanaTerra


Ufficio stampa Settimana del Pianeta Terra:
Press Play | Comunicazione e pubbliche relazioni | www.agenziapressplay.it
Alessandro Tibaldeschi | +39 333 6692430 | ale@agenziapressplay.it
Vanna Sedda | +39 347 8930210 | vanna@agenziapressplay.it
Giorgia Fanari | +39 327 7906403 | giorgia@agenziapressplay.it


mercoledì 21 settembre 2016

Les escargots. Fossili, cucina, non amore ed inganni.

ammoniti fossili di cioccolato dello chef-pasticcere Andrea De Bellis

Les escargots
Fossili, cucina, non amore e inganni
(F.M.*)


Lei: Io dico che nessun uomo era meglio di te che oggi sei così vecchio, ma oggi nessuno è meglio di quel bel ragazzo.
Lui:   Quel che adesso sono io, lui sarà domani.
Lei:   Che importa, tu non puoi tornare ad essere quello che eri, il ragazzo lo voglio adesso, te ti ho voluto un tempo.
Marziale


Quel che il cameriere aveva da dire l’ha detto. Il piatto è perfetto, le lumache cucinate con gusto e sobrietà, molto semplici, chef soddisfatto. Il vino, un bianco con sentori di mandorla, l’ha scelto e suggerito lui, sull’etichetta il volto di una sirena, colori pastello, sembra l’ultima scena della Butterfly. Gli occhi di lei a un certo punto si sono velati, lui non ci ha fatto caso anche se il cameriere ha cercato, invano, di scuotere l’uomo, con garbo per la verità, ma questo gli è sembrato una semplice cortesia, uno stare attento al cambio di posate. In testa, pensa il cameriere, deve avere qualcos’altro. Sul tavolo c’è un libro, copertina azzurra. Ha visto, tra le tende tirate e la luce soffusa, che lei gliel’ha porto con qualche imbarazzo e lui con qualche disagio ha aperto la prima di copertina: “…per quanto t’ho amato, desiderato, voluto…”.
Il cameriere pensa, deve dirlo a sua moglie, che non dovrà più cambiare gli occhiali anche se solo una lente dato che l’altr’occhio oramai è solo un ricordo lontano, perché quel che ha letto lo ha letto da abbastanza distante, e sì che la scrittura di lei è nitida, ampia e coraggiosa, sembra un profumo. E il profumo, si sa, è dove sta il profumo stesso e non nel naso, se sta vicino è vicino, tuttavia se non voglio sentirlo non posso, pensa il cameriere, ma tu guarda che complicazione.
Ma il signore, chissà perché, prende quel dono con sufficienza, si vede che ha altro per la testa. Il piatto di lumache ha smesso di fumare, gli occhiali di lui adesso sono sul tavolo e le loro mani si incrociano. Belli quegli occhiali, pensa il cameriere, un po’ da vecchio ma, del resto, non sono vecchio anch’io? Vediamo come va a finire.
Lo sguardo triste di lei, come dispiace al cameriere quello sguardo. Lui ha invece posato sul tavolo e spinto verso di lei un cuore di granito, un piccolo cuore dai riflessi d’argento, ha preso un cubetto di ghiaccio dal secchiello e lo posa sopra, bagnata è adesso la pietra e subito riflessi hanno cominciato a vibrare, le mani si sono intrecciate ancora di più ma, non sfugge al cameriere, nervose e stanche come qualcuno che non riesce a capire o si sforza di essere presente. Fuori piove. La terza di copertina quella no, proprio non riesce a leggera. Il ghiaccio fonde…
...l’odierai quando, seduto sul divano, tremerà di freddo per la febbre che non gli passa, e sì che sono già dieci giorni che trema e non si vede luce, e sì che ha beccato un bel malanno quella sera, che pioggia!, discussioni a parte, non siete riusciti a trovare un taxi per tornare a casa dopo il ristorante, quel ristorante con il cameriere cortese, quello che ha suggerito, un ricordo lontano, il vino bianco con sentore di mandorla.
E ancora la cena, escargots, simili a conchiglie fossili, di quelle che hanno un tempo raccolto in spiaggia, quella del loro primo abbraccio, un cuore levigato dal mare, il granito delle strette convinzioni, l’oro del sole, un epigramma, quello che sono stati un tempo, amici, amori e altre storie.
E sì che, invece di aspettare, si sono incamminati, lei con la sua bella giacca e lui a coprirle il capo con un ombrello che a malapena ombra un braccio, il suo.
E sì che quando è arrivato il taxi quasi non vi voleva far sedere tanto zuppi eravate ma contenti di aver camminato sotto la pioggia con un vento teso che rigava il volto, il suo bel volto sorridente. E le mani? Ognuno per sé.
E in tasca il cuore di pietra – ma dov’è andato a finire? L’ho preso? L’ho perso? – ricordate vero, lucido di lucidi minerali, non tiepido ma nemmeno freddo, fuso del tutto il ghiaccio. Il cameriere ha ribadito la ricetta, crema di burro, il sapore deciso del prezzemolo – mai amato il prezzemolo lei – i riflessi giallo oro di un fossile d’altri tempi, helix felix e Marziale in sottofondo, ogni tanto lo leggono, ricordi d’un tempo passato: gli uomini vecchi che fanno la fila con le mogli giovani e il nubiano, quell’omone alto e prezioso che scenderà nell’arena contro il reziario, io quello voglio, dice la donna. Il libro sul tavolo, copertina azzurra, per quanto t’ho amato mio caro la terza pagina è bianca.
Torniamo a loro.
E sì che, venendo a casa e sceso dal taxi, il vecchio, perché è un vecchio, avevate dubbi? Aveva qualche dubbio il cameriere con la vista d’aquila, occhio solo?, ha starnutito, ma che vuoi che sia le ha detto, erano così felici, e abbracciati: a casa. E le mani, bagnate, si sono intrecciate più a lungo e i palmi asciugati più in fretta quando, entrati: spogliati. Qualcuno l’ha detto? Ha sentito qualcuno?
E sì che da subito ha avuto freddo, un freddo passato di mano in mano e chissà, umido com’era, quale quarzo si è trasformato in lazurite, il verde dei suoi occhi?
E sì che da subito l’uomo ha percepito il suo disagio quando la doccia bollente quasi non finiva mai perché, lo sapeva, doveva stare sotto il getto più a lungo possibile per ovattare il freddo che aveva dentro.
E lei invece, dolce ragazza, era lì ad aspettare che smettesse perché anche lei aveva freddo nelle ossa. Il luccichio della lumaca, fossile in oro puro sta sul verde panno della memoria.
E sì che il freddo, che l’uomo aveva, ha cominciato a farlo tremare e da subito ha bevuto quel liquore che le aveva portato e che da subito l’ha confortato infiammando lo stomaco. Ma è stanco, come solo i vecchi lo sono perché i vecchi sono tali solo quando lo diventano e lui lo è da tempo.
E le lenzuola sono ghiacce e a poco è servito il calore di lei al suo fianco che stretta l’ha abbracciato e subito ha sentito che aveva voglia ma il freddo fa dire parole sconnesse, tremare il fiato. E, è vero, il calore, il calore del suo corpo gli è servito invece, gli ha fatto bene e si è addormentato.

E sì che ho sognato quasi da sveglio e mi è sembrato nel sogno, che nella realtà percepisco come vivo, il disagio che ho notato in lei si sta lentamente trasformando, direi impercettibilmente, un po’ per il sonno che sonno non è ma insonnia trasfigurata in sogno, in un sentimento meno fluido, qualcosa che assomiglia al sorriso forzato che ha lei quando ad un tratto, svegliandomi in preda a chissà quale angoscia, mi ha chiesto se è tutto a posto, se lo chef è contento dell’escargot e che, mi raccomando, non metta per favore il prezzemolo che quello non mi piace. Certo, ho pensato, noi vediamo quello che vogliamo vedere pur sapendo quello che sappiamo. Serve a questo il sogno? Io sono solo un cameriere, uno che guarda e aspetta, dona conforto alle persone, suggerisce un buon vino e, indiscretamente, legge da lontano qualcosa che sta scritto, agile nella forma e forte nel contenuto, gli occhiali non devo più cambiarli, anche se quelli del vecchio mi piacciono, economia di scala che mia moglie apprezzerà molto anche se devo cambiare una sola lente.

E sì che il vecchio, appena sveglio, ha visto gli angoli delle sua bellissima bocca scendere in un soffio, un niente.
E sì che gli ha ricordato l’impegno del fine settimana, con certi amici non si sa più dove, una vacanza organizzata da tempo, adesso sì che ricorda. Impossibile da spiegare, in tutta evidenza l’incolpevolezza del caso.
E invece no, tutto è scritto e detto e fatto. Ma come sia possibile che solo dopo qualche giorno, giorni avvolti in un grigio pensiero come grigia sta diventando la luce in questo tramonto autunnale, e grigi i loro sguardi, come sia possibile che quasi più niente di benevolo abbiano da dirsi, e grigia è l’atmosfera che avvolge la stanza nonostante abbia smesso di piovere da un pezzo e il sole, causa proprio di questo grigiore, ancora non riesce a fendere l’aria, ma come è possibile?
E sì che forse lui non ha inteso, oppure ha capito davvero che la colpa è, usiamo un piccolo innocuo eufemismo, diciamo molto grande, la colpa è di essere vecchio, ecco, l’ha detto. E pertanto tutto si dilata, si diluisce, il tempo si allunga. E la colpa, già, non viene percepita come condizione naturale, uno stato di fatto che c’è e non potrebbe essere eliminata, l’anagrafica impietosa, feroce ma essenziale, reale, immanente, quella che ti permette di completare un carattere, per quanto complesso sia. Diviene tutt’a un tratto il tempo, un tempo che ha una età per quanto il tempo, come sappiamo, il tempo non ha un’età ma un ritmo costante coerente con i battiti dell’anima, quella cui il tempo si attacca e stacca a seconda dell’umore, stava per dire amore ma è un imbecille e dunque non lo dice.
E sì, dunque è vero lei hai percepito questa sua rilassatezza e avrebbe voluto dirgli cose proprio gradevoli, se solo lui fosse stato meno imbecille e avesse detto ti amo.
E per quanto lei l’avesse amato, per quanto affetto avesse avuto, d’un tratto gli dirà che nessun uomo era meglio di lui che adesso è così vecchio, ma oggi, sempre gli dirà, nessuno è meglio di quel bel ragazzo che ha visto in libreria, quel locale antico dove gli ha comprato il suo regalo di compleanno, un bel libro dalla copertina azzurra, Marziale mi pare, quel giovane uomo che gli ha perfino suggerito il ristorante dove andare a cena per festeggiare, quello dove un cameriere con un occhio solo li avrebbe serviti come un padre attento e premuroso, un predatore di epigrafi e dediche.
Il pensiero di uno sfiorare di mani, uno sguardo leggero, un segno d’intesa, carta assorbente per un cuore liquido.
-          Quel che adesso sei tu, lui sarà domani.
Gli dice leggendo il poeta.
-          Tu dici?
-     Chi può dirlo, ma che importanza ha, tu non puoi tornare ad essere quello che eri, sei vecchio e basta, ne hai colpa?
-          Sì.
Che ti combina il tempo! Anche colpe non tue, ma tant’è, pensa distratto il cameriere, ma proprio questo devono leggere in estremo.
-          Il ragazzo lo voglio adesso, a te ti ho voluto un tempo. Adesso, mi dispiace – in realtà no, non mi dispiace affatto – non ti voglio più.
Exit Marziale e così sia.
Lento sale dalla cucina l’odore schiaffo dell’escargot, fossile puro nella testa di un altro, quello che ha preso il suo posto nel cuore, che neanche sa che vuol dire fossile, quello che diventerà nuovo uomo accanto a lei, il ragazzo della libreria, quello che neanche sa che il profumo è lì che aspetta e non sta nella lingua che incolla alle labbra perché è lì il sapore non dov’è davvero, nel cielo di un ricordo. Ma il ragazzo, che vuoi che ne sappia, è un ragazzo. E a lei, che vuoi che importi.
Il cameriere li ha visti andar via, il braccio del vecchio a cingere le spalle di lei che non sembrano accoglierlo anzi, uno scarto ed è già fuori sotto la pioggia. E sì che si sono incamminati, lei con la sua bella giacca e lui a coprirle il capo con un ombrello cha a malapena ombra un braccio, il suo.
Solo per un momento, sulla porta, le mani si sfiorano. Sul tavolo briciole sparse e un cuore di pietra che da tempo ha smesso di brillare.


-- -- --



Le ammoniti in foto sono opera d' altRa cioccolateria dello chef-pasticcere Andrea De Bellis.
*F.M. sta per Francesco Marchese, amico e collega geologo. Dirigente di una importante società di ingegneria italiana, ha il pregio di portare in ambito lavorativo lo spirito di due delle sue grandi passioni: il cinema e la cultura classica. Quando gli abbiamo chiesto se questo racconto fosse in qualche modo autobiografico,  ha risposto "...forse". Grazie Francesco.











mercoledì 7 settembre 2016

Val Pusteria, pane contadino sulla linea di confine



Rientriamo dalla pausa estiva con un pizzico di emotività, dopo la tragedia che ha colpito l'Italia centrale nello scorso mese di Agosto, in luoghi ai quali siamo legati per motivi personali e professionali.
Sono stati lungamente evocati, come emblema della solidarietà, i piatti della tradizione gastronomica locale, mentre crescevano le crude cifre dei danni e delle perdite. Gli appelli della comunità scientifica, a far sì che vengano destinate in modo costante risorse allo studio, alla prevenzione ed alla messa in sicurezza del nostro territorio (che condividiamo fortemente) hanno invece prevalso con una certa difficoltà. 
Con il bentrovati nella nuova stagione, Geologia e Cucina invita tutti (noi per primi) a mantenere viva l'opera di sensibilizzazione e solidarietà, anche quando l'eco mediatica su questo luttuoso evento calerà in modo inevitabile.
Per ora continuiamo il racconto di territori altrettanto belli ed affascinanti, oltreché complessi sotto l'aspetto geologico, che hanno accompagnato la nostra recente stagione estiva.
----


Nell'osservazione di un territorio, al di fuori dell'innata bellezza che il paesaggio può trasmettere, l'occhio del Geologo cerca sempre di cogliere la terza e la quarta dimensione: nel primo caso la profondità, ovvero le successioni stratigrafiche che caratterizzano ammassi o intere catene rocciose, nel secondo caso il fattore tempo, ripercorrendo cioè gli eventi che, nelle successioni delle varie ere geologiche, hanno determinato la genesi del paesaggio stesso.
Quello che si osserva, in realtà, è la geomorfologia dei luoghi, ovvero il frutto dei processi esogeni, sia lenti che estremamente veloci e perciò definiti catastrofici, tali comunque da indurre effetti di rimodellamento di intere aree geografiche.


La tendenza dei versanti ad assumere delle forme di equilibrio ha fatto sì che intere aree siano attivi fenomeni di erosione, mentre altre vengano colmate da potenti coltri di deposito: mentre nel primo caso la "messa a giorno" delle formazioni rocciose consente di rilevare sul terreno i rapporti geometrici tra le rocce, i fossili, la petrografia, fornendo un fondamentale sviluppo allo studio della geologia stratigrafica, nel secondo caso le ricostruzioni sono possibili solo mediante tecniche di indagine di profondità, comunque tali da raggiungere strutture ormai sepolte ed obliterate dai materiali che le sovrastano anche per migliaia di metri.
Le "forme" di un territorio sono state responsabili sua della sua accessibilità, della possibilità che si siano sviluppati insediamenti stanziali, coltivazioni in estensione, pratiche agricole o allevamento.
La geologia e morfologia hanno orientato le scelte infrastrutturali, la localizzazione degli insediamenti civili ed industriali, guidando l'occupazione di vaste aree del pianeta e lo sviluppo di società organizzate, specie nelle ampie pianure che contornano i corsi d'acqua.

Tra le pianure alpine, la Val Pusteria conserva intatto il suo fascino sebbene la morfologia, l'ampiezza e l'accessibilità l'abbiano da tempo identificata come un asse di transito primario, antropizzato ma sempre e comunque in modo rispettoso dei rapporti tra uomo e natura, con i numerosi borghi che ne costellano i versanti.
A suo modo, anche per latitudine, rappresenta una terra di confine: non parliamo di limiti amministrativi, ma di veri e propri domini geologici. La Val Pusteria, nelle sue profondità, nasconde infatti il limite geologico tra l'Africa e l'Europa.
La formazione della regione Alpina, di cui la valle fa parte, si è appunto generata dalla collisione fra la placca Africana e quella Euroasiatica, a partire dal Cretacico, attraverso numerose fasi in successione cronologica ed ancora oggi attive. Procedendo da nord verso sud abbiamo una successione di Domini: quello Elvetico, sul quale si sovrappone quello Pennidico, entrambi "europei", mentre il sottostante Dominio Austroalpino e il Sudalpino, appartenengono in origine alla Placca Africana.
www.digilands.it
I primi tre hanno una "vergenza" a nord, mentre l'Australpino, di cui fanno parte le Dolomiti, è caratterizzato da una generale vergenza verso sud (verso la Pianura Padana). Proprio questa conformazione strutturale individua le Alpi come una catena a “doppia vergenza”. 
La suddivisione tra questi "mondi" anche geometricamente contrapposti, è rappresentata da una importante linea tettonica, nota come Linea Insubrica o Periadriatica, caratterizzata da una storia geologica molto complessa e non ancora del tutto chiarita: essa attraversa tutta l'Italia settentrionale da Ovest verso Est, con inizio nel Canavese, in Piemonte, passando per la Valtellina, in Lombardia, e proseguendo nella zona del Tonale fino ad arrivare alla Val Pusteria, con un percorso di circa 1.000 km.
www.digilands.it
Ad una morfologia aspra ed accidentata, derivante da queste complesse fasi di orgonesi, si è sovrapposta come già detto l'attività degli agenti esogeni, primi tra tutti i ghiacciai ed i corsi d'acqua, che hanno eroso, smantellato, trasportato ed infine depositato i materiali di disgregazione, andando a formare superfici pianeggianti dove l'insediamento antropico ha permesso, come effetto, lo sviluppo di ampie aree coltivabili.
Le società contadine, insediatesi da centinaia di anni, hanno praticato da sempre un modello di autostentamento, in simbiosi con il territorio in cui vivono, traendo dallo stesso tutte le risorse primarie necessarie: in Val Pusteria, sebbene oggi fortemente vocata al turismo, le testimonianze di questa civiltà sono fortemente radicate e la loro valorizzazione passa oggi attraverso il riconoscimento, il mantenimento e la diffusione di un vero e proprio patrimonio identitario.



Ne è di esempio, come in gran parte della nostra penisola, la produzione dei "pani tradizionali". L'occasione di provarne le varie fasi di preparazione è stata la ghiotta partecipazione ad uno degli appuntamenti organizzati dall'Ufficio Turistico di Valdaora-Olang: la simpatia del panettiere Hans ha completato degnamente il pomeriggio di vacanza.
Qui sotto ricetta ed il procedimento utilizzato, replicabile anche a casa. L'unica difficoltà sarà forse trovare del trifoglio essiccato adatto all'uso alimentare. 

Pane contadino (Bauernbreatl)

ingredienti
1 kg di farina di segale
300 g di farina di grano tenero tipo 0
100 g di pasta acida
10 g di lievito di birra
3/4 di l di acqua tiepida
1 cucchiaio di sale
trifoglio essiccato
2 cucchiai di semi di cumino e finocchio

preparazione
Mescolare la farina con le spezie. Formare una buca ed aggiungere il lievito, l'acqua tiepida ed amalgamare in un impasto morbido. 


Lasciare riposare in luogo caldo per circa 2 ore. Lavorare la pasta nelle forme scelte, posizionare le forme su un panno infarinato. 


Lasciare nuovamente riposare il tutto ed infine infornare il pane a 220°C per circa 45 minuti.


Ci è stato raccontato che il pane veniva conservato anche 6 mesi per poter essere consumato, essiccato, nelle zuppe nei freddi inverni.
Noi non abbiamo però resistito, vista la aromaticità e la fragranza, a farne un ottimo accompagnamento di un tagliere di salumi e di formaggi tradizionali.


Guten appetit !
    

mercoledì 10 agosto 2016

Il supervulcano di 290 milioni di anni fa e il geologo sommelier.


Con il mese di agosto anche Geologia e Cucina si prende una piccola pausa estiva e riapre con piacere le porte alle collaborazioni. Oggi è la volta di Matteo Capellaro, geologo e sommelier, che con Emanuela Pagani porta avanti un'Agenzia di consulenze enogastronomiche "Degustazioni e Dintorni". 
Per saperne di più su come nasce la sua passione c'è una breve descrizione della  sua storia nel blog.
Con questo post appassionante ringraziamo Matteo e auguriamo un buon agosto a tutti.

C'era una volta un Supervulcano... Eh no, diventerebbe un trattato geologico fino a sé stesso e sarebbe troppo “facile” introdurre così questo racconto che ha dell'incredibile. E' doveroso scrivere un prologo. 

1. PROLOGO

 C'era una volta un sommelier che viveva nel borgo medievale di Barolo e lavorava in uno dei castelli più scenografici e caratteristici del Piemonte. Castello appartenuto ai Marchesi Falletti, pionieri insieme a Camillo Benso conte di Cavour e ai figli illegittimi di Vittorio Emanuele II ex proprietari della Tenuta di Fontanafredda, di uno tra i vini più conosciuti nel panorama enoico internazionale, Il Barolo. Il nostro sommelier si occupava della promozione appunto di questo vino e incontrava quotidianamente all'interno dell'Enoteca Regionale turisti e appassionati che venivano apposta da tutto il mondo in quel luogo per apprendere e degustarne le eccellenze territoriali. Ne era entusiasta al punto che, alla fine del suo orario di lavoro, amava intrattenersi con alcuni tra i più curiosi, nella vineria del paese oppure accompagnandoli direttamente dai produttori, nelle vigne e condividendo gli assaggi dalle botti. 

Godeva e si rallegrava nel vedere la meraviglia dipingersi su quei volti, amava sfoderare la sua arma segreta spiegando come i terreni avevano saputo influenzare quei vini, gli esami di Geologia del Sedimentario, quel professor Ghibaudo un po' burbero e un po' no che amava il vino, ora i suoi insegnamenti avevano un altro fascino, si potevano toccare con mano le marne grigio azzure di Sant'Agata fossili, i turisti se le passavano di mano, si divertivano a romperle e finalmente capivano anche loro la magia. La struttura e i profumi dei vini derivavano proprio da come le radici delle piante riuscivano a cavare nutrimento e linfa vitale da quegli strati solo in apparenza privi di risorse. Ma al nostro sommelier non bastava, considerando anche il fatto che tra gli 800 abitanti del Comune di Barolo era anche l'unico della sua specie: sommelier ma con il bagaglio degli studi geologici che non avevano avuto uno sfogo professionale ed erano rimasti, negli anni in cui si era dedicato ad altre attività, lì, fermi, come una zavorra inutile; ad un certo punto sembravano prendere forma nella comunicazione del vino e spiazzavano gli interlocutori che si sentivano quindi anch'essi un po' scienziati e iniziavano anche loro a supporre e a indovinare cosa poteva essere successo in quelle zone, iniziavano anche loro a “vedere” l'oceano della Tetide dall'andamento ondulato uniforme delle Langhe a quello più irregolare del Roero e il Tanaro con le sue dimensioni mastodontiche tra Cherasco e Santa Vittoria d'Alba, ben diverse da quelle attuali. 

1.2 IL VIAGGIO 

Doveva inventarsi qualcos'altro, pensava che al di là di quelle colline, da qualche parte ci sarebbe stato qualcosa di diverso che terreni sabbiosi o calcareo argillosi, chissà che caratteristiche avevano i vini le cui uve erano coltivate in montagna, oppure sul tufo vulcanico dell'Etna e quindi iniziò a viaggiare e scoprendo quali sentori davano ai vini i diversi terreni in giro per l'Italia ma non solo. Capì come lo stesso vitigno, come il Sauvignon, il Pinot Nero o lo Chardonnay, poteva alterare le sue sensazioni dal terreno ma anche dal modo in cui era coltivato. Dal Collio all'Alto Adige, dalla Valtellina alla Romagna, dall'Etna alla Nuova Zelanda, quali evoluzioni fantastiche prendevano vita in quei calici, tanto da non ritrovare il bandolo della matassa o riconoscere lo stesso vitigno in contesti diversi. Mentre rifletteva su tutti questi aspetti durante il viaggio di ritorno, proprio a pochi km da Barolo, in una località vicina a Castiglione Falletto, il suo sguardo indugiò su un cartello stradale in cui si parlava del Geoparco UNESCO del Monte Rosa. Lo conosceva bene quel monte, ricordava una cartolina del padre alpinista con su la Capanna Margherita e una frase scritta a penna rossa “Era un mito” ovviamente riferito alla conquista di quella vetta tanto ambita. Sotto la pubblicità del Geoparco si vedeva distintamente una testa di lupo, il simbolo di un'azienda di Ghemme, Antichi Vigneti di Cantalupo. GENIALE!!!! Un produttore di Ghemme era riuscito a far conoscere questa piccola perla del Piemonte Settentrionale, lì nel tempio del campanilismo piemontese, nel cuore degli undici comuni “intoccabili” del Barolo promuovendo il suo territorio che era inserito all'interno di un parco riconosciuto dall'Unesco, ma cos'era il Ghemme? Ghemme e Gattinara sì, se ne poteva parlare nel Castello di Barolo, quando si spiegava che con il Nebbiolo si facevano anche altri vini, si doveva dire che erano ottimi senza però far vacillare la luce al Barolo. Ma forse pensò era perché non si conoscevano così bene e la luce stessa del Barolo, del Barbaresco e dei vini di Langa, bastava ad illuminare il mondo del vino a livello locale. Il nostro sommelier era però alla ricerca di altri lumi e si incamminò, ancora non del tutto conscio, verso quel viaggio di scoperta, quello vero, quello che ti fa avere nuovi occhi. 

2. IL PIACERE DELLA SCOPERTA

 Alberto Arlunno, la tredicesima generazione di produttori dell'Azienda Agricola Antichi Vigneti di Cantalupo è seduto davanti a me, ci dividono una schiera di calici e mezza dozzina di bottiglie aperte. 

Alberto ha quello sguardo di chi la sa lunga e in effetti è così sa anche il latino, io me lo sono quasi del tutto scordato, ma cerco di reagire interpretando le sue citazioni dai sui gesti in modo che non se ne accorga. In realtà non sa che sono ancora stordito dall'assaggio del suo Agamium, il Nebbiolo delle Colline Novaresi invecchiato in bottiglia come tutti i suoi vini per anni, perché come dice lui il vino va bevuto quando è pronto. 2009. Nebbiolo. Fruttato e sapido. Eh???

 Si fruttato e sapido o minerale che dir si voglia. Il Nebbiolo al massimo per me era floreale, con una certa freschezza data da terreni calcareo argillosi e ruvidità dai suoi tannini aggressivi. Così insegnavano le Langhe. Questo è fruttato sottobosco, lamponi, mirtilli, anche se si sentono ovviamente profumi terziari di confettura e speziatura leggera di invecchiamento e in bocca quel velluto che avevo avuto modo di apprezzare solo in Barolo invecchiati. Qui si parla di un semplice Nebbiolo. Quello che dovrebbe essere la corrispondenza di un semplice Langhe Nebbiolo da dove provengo io. Ed ecco il Ghemme DOCG L' Anno Primo 2007, poi il Collis Carellae un CRU il cui Nebbiolo proviene da una singola vigna 2007 poi ancora il Collis Braclaemae 2005 e 2007 per finire con il Signore di Bayard Ghemme di concezione più moderna 2006. L'Abate di Cluny rosso fatto fatto con un Nebbiolo stramaturo in pianta. Ma sempre queste note minerali, sempre anche in vini affinati per lungo tempo, quasi ci fosse nascosto nei sedimenti un vulcano attivo, rossi che ricordano nella mineralità e sapidità, il Taurasi o l'Aglianico del Vulture o il Nerello Mascalese dell'Etna... ma siamo... in Piemonte ??? Ed ecco lo sguardo di Alberto dipingersi di soddisfazione per aver incastrato il suo pollo, in questo caso un super pollo all'oscuro del Supervulcano della Valsesia o meglio ne ignorava l'esistenza in quel momento, che è un modo come un altro per dire che non ne ero a conoscenza. 

3. IL SUPERVULCANO DELLA VALSESIA

 Per avere straordinari sentori eleganti e minerali era chiaro che le uve di Nebbiolo con cui erano realizzati quei vini, pensò il sommelier langhetto, dovevano aver incontrato con le radici un materiale argilloso costituito però in prevalenza da pietre, rocce e frammenti piroclastici. I vini rivelavano, nonostante fossero invecchiati per lungo tempo, un'acidità non indifferente data proprio da questo mix di terreni ricchi in minerali. Leggendo qua e là, cercando di ricordarsi le basi della geologia classica da cui però questa storia si scostava in modo notevole, il nostro sommelier ormai incuriosito incontrava parole come graniti e basalti che non erano solo all'interno della stessa frase ma anche all'interno delle stesse rocce. 

 
Peridotite del Mantello
Micro Gabbro in blocco di Granito
Migmatite

Negli ultimi vent'anni in questa zona del Piemonte Settentrionale si è fatta un'incredibile scoperta e cioè che la porzione territoriale che si estende da Borgosesia alla Pianura Padana e da Curino a Borgomanero è in realtà una caldera di 13 km di diametro, testimone del collasso di un Supervulcano attivo 290 milioni di anni fa e che si trovava vicino al margine tra le due placche, quella Euroasiatica e quella Africana. La caldera non è ovviamente più visibile dal paesaggio, che era stato rimodellato dai fiumi e dai vari agenti atmosferici attraverso l'era neozoica, ma è testimoniata dalla presenza di rocce vulcaniche in tutto l'areale: la notizia scientifica sta nel fatto che fino agli '70 non si riusciva a dare una spiegazione a un caotico insieme di rocce di origine vulcanica che comprendeva corpi intrusivi all'interno di un contesto di formazioni derivanti da magmi effusivi. Ma vent’anni fa si è dimostrato che circa 290 milioni di anni fa la parte inferiore di questa crosta continentale veniva intrusa da magmi basaltici ad alta temperatura e il conseguente riscaldamento portava alla fusione delle rocce crostali profonde con la produzione di magmi granitici. È così che il sistema magmatico granitico, intrusivo, si è evoluto rapidamente fino alla formazione di un’area vulcanica la cui attività è culminata con lo sprofondamento di una caldera vulcanica di enormi dimensioni, che i geologi come il dr Silvano Sinigoi ordinario dell'Università di Trieste che si dedica a questa incredibile storia da anni, chiamano appunto “supervulcano”. Si è arrivato a dimostrare circa solo 15 anni fa, dal ritrovamento di megabrecce nel letto del Sesia prosciugato da un fortuito momento di siccità, l'avvenuto collasso della caldera. Le megabrecce della Valsesia sono costituite infatti da blocchi di roccia anche enormi immersi in una matrice costituita da materiale piroclastico. La super eruzione che ha portato alla formazione di queste rocce composite, ha sparato in aria ca 500 km quadrati di ceneri, lapilli e piroclasti il che ha fatto si che questo fosse davvero un vulcano di dimensioni gigantesche. L'unicità del Supervulcano è data soprattutto dal fatto che percorrendo la Valsesia è possibile osservare e studiare cosa poteva avvenire al di sotto del camino vulcanico 25 km in profondità nella crosta. Questi studi possono spiegare meglio come avviene in zone impossibili da monitorare confrontando altri casi di vulcani attivi con questo paleovulcano, l'evoluzione di una provincia vulcanica, considerando questo esempio come un modello naturale facendo ipotesi teoriche ma molto ben supportate. Ecco allora finalmente apparire la trama vulcanica, la prova del nome della degustazione da Antichi Vigneti di Cantalupo, finalmente apprendo il verbo e interpreto il leggero sorriso soddisfatto di Alberto Arlunno quando parlava di una risorsa nascosta del suo territorio. Prendono forma quindi i profumi di liquirizia, le sensazioni calde e vellutate e la straordinaria mineralità di questi vini. Il nostro amico Sommelier quindi soddisfatto per questo giro nel mondo dei ricordi e della ricerca scientifica mista alla passione per il vino ha ripreso la sua strada tempo fa e ha incontrato una sua simile con cui condividere le idee e gli appunti di viaggio. Ancora stanno percorrendo la stessa strada e insieme hanno scoperto estremi come uno spumante siciliano di Marsala le cui uve sono coltivate letteralmente in riva al mare, un Langhe Riesling allevato a 900 mt slm su una vigna in ombra, vini caratterizzati da agricoltura eroica in Valtellina e Alto Adige, chissà cosa potrà loro riservare il futuro... 

Matteo Capellaro