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mercoledì 22 giugno 2016

Laghidivini 24-26 giugno 2016


Manifestazioni come quella di LAGHIDIVINI raccolgono in pieno lo spirito del nostro blog.
Raccontare un territorio "dal territorio", rappresenta una ennesima conferma di come ci sia una legame inscindibile tra le caratteristiche di un luogo e le eccellenze che vi si producono.
Quello in programma dal 24 al 26 giugno è il festival dedicato alle produzioni vinicole nei dintorni dei laghi italiani e giunge alla IX edizione, che si terrà ancora a Bracciano, spostandosi dal centro storico alle sponde dell'omonimo lago.

Si parlerà di territori, con un programma piuttosto fitto.
Proprio con il sottotitolo “Comunicare i territori” si trasmette l'esigenza di rafforzare il legame tra vino e territorio lacustre. Il festival si terrà nella sede del Consorzio lago di Bracciano, partner dell’iniziativa. L’evento vede il patrocinio dell’ARSIAL- Regione Lazio, del Parco Naturale Regionale di Bracciano e Martignano e della Federalberghi Roma.

Il Bacino di Bracciano occupa l'antica caldera, sprofondata per lo svuotamento della camera magmatica del complesso vulcanico sabatino, uno dei vulcani laziali dell'area tirrenica più estesi e di antica origine, risalente a circa 600.000 anni fa
I primi centri di emissione, prevalentemente di tipo esplosivo, sono stati identificati nell'area di Morlupo, molto ad est dell'area lacustre; in contemporanea si è impostato il grande centro eruttivo di Sacrofano, attivo per oltre 200.000 anni.
L'attività del complesso si è esaurita circa 40.000 anni fa, con i centri di Martignano e Stracciacappa.

Carta Geologica d'Italia scala 1:100.000 - Foglio 143 Bracciano
(ISPRA - http://193.206.192.231/carta_geologica_italia/tavoletta.php?foglio=143)
Una curiosità è rappresentata dal fatto che l'acqua del Lago di Bracciano sia stata utilizzata per uso idropotabile fin dei tempi storici. L'acqua giunge a Roma attraverso un antico acquedotto fatto costruire dall'imperatore Traiano e restaurato nel 1600 dal pontefice Paolo V e per questo chiamato "Acqua Paola" (una espressione ricorrente nel gergo romanesco): con un percorso di oltre 40 km consente un approvvigionamento di 80.000 mc al giorno.
Dopo un periodo di perturbazione negli anni '70 del secolo scorso, legato all'aumento indiscriminato degli scarichi ed ai prelievi non controllati, si iniziò una vasta azione di recupero in termini qualitativi della risorsa idrica, con la costruzione di collettori fognari ed il divieto alla navigazione ed all'utilizzo di fertilizzanti e pesticidi.
La mostra dell'acquedotto proveniente dal Lago di Bracciano si trova sulla sommità del Gianicolo, ed è meglio noto come il "Fontanone".

Foto Di Jensens - Opera propria,
Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=4595358
Numerosi i produttori di spicco presenti alle giornate ed ai banchi di assaggio.
La curatrice del Festival Laghidivini, Sandra Ianni, ci comunica che  "saranno oltre 160 le etichette presenti per rappresentare circa 30 laghi, dall’Alto Adige alla Sicilia, vini di aziende famose e piccole realtà di nicchia, che sarà possibile degustare, dalle ore 19.00 alle 24.00, in banchi d’assaggio ordinati per lago di provenienza con particolare focus sulle selezionate aziende delle realtà lacustri del Lazio. Il festival prevede, inoltre, convegni e workshop con qualificate presenze del mondo accademico, istituzionale, artistico ed imprenditoriale.
Ad aprire il festival il 24 giugno alle ore 19.00 il convegno “Comunicare i territori” con l’amministratore unico di Arsial dott. Antonio Rosati, interverranno tra gli altri il prof. Ernesto Di Renzo, antropologo alimentare, dell’Università Tor Vergata e il giornalista dott. Emanuele Perugini della piattaforma Lovinitaly.
A Laghidivini sarà possibile degustare prodotti tipici ed approfondire la conoscenza delle produzioni locali e della loro cucina, acquistare vini e cibi direttamente dai produttori e soprattutto di selezionati prodotti del Lazio e di presidio Slow Food per la biodiversità. L’Accademia del Gusto Tu Chef di Roma curerà, a bordo della motonave Sabazia, due appuntamenti, su prenotazione, dal titolo: “Crociera sensoriale”, ovvero serate dedicate al pesce lacustre ed ai piatti del territorio ed alla loro valorizzazione.
Ospite d’eccezione Hilde Soliani, poliedrica ed eclettica artista nonché “naso”, ovvero creatrice di profumi a livello internazionale che intratterrà i visitatori con “Crociera al buio”, una performance tra vini e profumi, per risvegliare i sensi e sollecitare le emozioni. Musica, degustazioni in riva al lago ed un percorso naturalistico guidato nei boschi limitrofi amplieranno l’offerta della kermesse. Tra gli eno-appassionati sempre grande attesa, in particolar modo per questa IX edizione – precisa ancora l’ideatrice del festival Sandra Ianni - che costituirà, tra l’altro, l’occasione per scoprire e degustare alcune produzioni vitivinicole monastiche mai degustate prima in Italia”. Si tratta, infatti, di un’anteprima assoluta in programma a Laghidivini 2016 dedicata alle produzioni vitivinicole biologiche della penisola Calcidica (Grecia) che vedrà anche la presenza dei coordinatori del “Progetto Monte Athos”, sostenuto dall’Università degli Studi della Tuscia di Viterbo, al convegno sulla cultura enogastronomica monastica della comunità ortodossa di Vatopedi, fissato per domenica 26 alle ore 20.00.


Al termine del festival la consueta assegnazione del Premio del pubblico Laghidivini, il riconoscimento attribuito al vino che ha ottenuto il maggior numero di preferenze durante il festival da parte dei visitatori. Un altro messaggio dell’evento da evidenziare è senz’altro quello volto a promuovere un bere consapevole, ovvero – come sottolinea l’associazione Epulae Bracciano organizzatrice dell’evento - un invito a bere il frutto della terra, prodotto nelle vicinanze dei laghi, nelle giuste dosi, per apprezzarlo appieno e godere di tutte le sue sfumature, nutrendosi anche della conoscenza e del valore culturale che il vino sottintende".

Un buon motivo per trascorrere il prossimo fine settimana sul meraviglioso specchio d'acqua del Lago di Bracciano.

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LAGHIDIVINI 2016 - IX edizione.
Lungolago Argenti, n.11 (ex-pontile degli inglesi) 24-26 giugno 2016.
L’ingresso alla manifestazione è gratuito, mentre per le degustazioni è necessario munirsi di apposito tagliando, previo contributo ed accredito al Punto Info.
L'immagine di apertura è tratta dal sito www.laghidivini.it

Laghidivini 24-26 giugno 2016


Manifestazioni come quella di LAGHIDIVINI raccolgono in pieno lo spirito del nostro blog.
Raccontare un territorio "dal territorio", rappresenta una ennesima conferma di come ci sia una legame inscindibile tra le caratteristiche di un luogo e le eccellenze che vi si producono.
Quello in programma dal 24 al 26 giugno è il festival dedicato alle produzioni vinicole nei dintorni dei laghi italiani e giunge alla IX edizione, che si terrà ancora a Bracciano, spostandosi dal centro storico alle sponde dell'omonimo lago.
Si parlerà di territori, con un programma piuttosto fitto.
Proprio con il sottotitolo “Comunicare i territori” si trasmette l'esigenza di rafforzare il legame tra vino e territorio lacustre. Il festival si terrà nella sede del Consorzio lago di Bracciano, partner dell’iniziativa. L’evento vede il patrocinio dell’ARSIAL- Regione Lazio, del Parco Naturale Regionale di Bracciano e Martignano e della Federalberghi Roma.

Il Bacino di Bracciano occupa l'antica caldera, sprofondata per lo svuotamento della camera magmatica del complesso vulcanico sabatino, uno dei vulcani laziali dell'area tirrenica più estesi e di antica origine, risalente a circa 600.000 anni fa
I primi centri di emissione, prevalentemente di tipo esplosivo, sono stati identificati nell'area di Morlupo, molto ad est dell'area lacustre; in contemporanea si è impostato il grande centro eruttivo di Sacrofano, attivo per oltre 200.000 anni.
L'attività del complesso si è esaurita circa 40.000 anni fa, con i centri di Martignano e Stracciacappa.

Carta Geologica d'Italia scala 1:100.000 - Foglio 143 Bracciano
(ISPRA - http://193.206.192.231/carta_geologica_italia/tavoletta.php?foglio=143)
Una curiosità è rappresentata dal fatto che l'acqua del Lago di Bracciano sia stata utilizzata per uso idropotabile fin dei tempi storici. L'acqua giunge a Roma attraverso un antico acquedotto fatto costruire dall'imperatore Traiano e restaurato nel 1600 dal pontefice Paolo V e per questo chiamato "Acqua Paola" (una espressione ricorrente nel gergo romanesco): con un percorso di oltre 40 km consente un approvvigionamento di 80.000 mc al giorno.
Dopo un periodo di perturbazione negli anni '70 del secolo scorso, legato all'aumento indiscriminato degli scarichi ed ai prelievi non controllati, si iniziò una vasta azione di recupero in termini qualitativi della risorsa idrica, con la costruzione di collettori fognari ed il divieto alla navigazione ed all'utilizzo di fertilizzanti e pesticidi.
La mostra dell'acquedotto proveniente dal Lago di Bracciano si trova sulla sommità del Gianicolo, ed è meglio noto come il "Fontanone".

Foto Di Jensens - Opera propria,
Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=4595358
Numerosi i produttori di spicco presenti alle giornate ed ai banchi di assaggio.
La curatrice del Festival Laghidivini, Sandra Ianni, ci comunica che  "saranno oltre 160 le etichette presenti per rappresentare circa 30 laghi, dall’Alto Adige alla Sicilia, vini di aziende famose e piccole realtà di nicchia, che sarà possibile degustare, dalle ore 19.00 alle 24.00, in banchi d’assaggio ordinati per lago di provenienza con particolare focus sulle selezionate aziende delle realtà lacustri del Lazio. Il festival prevede, inoltre, convegni e workshop con qualificate presenze del mondo accademico, istituzionale, artistico ed imprenditoriale.
Ad aprire il festival il 24 giugno alle ore 19.00 il convegno “Comunicare i territori” con l’amministratore unico di Arsial dott. Antonio Rosati, interverranno tra gli altri il prof. Ernesto Di Renzo, antropologo alimentare, dell’Università Tor Vergata e il giornalista dott. Emanuele Perugini della piattaforma Lovinitaly.
A Laghidivini sarà possibile degustare prodotti tipici ed approfondire la conoscenza delle produzioni locali e della loro cucina, acquistare vini e cibi direttamente dai produttori e soprattutto di selezionati prodotti del Lazio e di presidio Slow Food per la biodiversità. L’Accademia del Gusto Tu Chef di Roma curerà, a bordo della motonave Sabazia, due appuntamenti, su prenotazione, dal titolo: “Crociera sensoriale”, ovvero serate dedicate al pesce lacustre ed ai piatti del territorio ed alla loro valorizzazione.
Ospite d’eccezione Hilde Soliani, poliedrica ed eclettica artista nonché “naso”, ovvero creatrice di profumi a livello internazionale che intratterrà i visitatori con “Crociera al buio”, una performance tra vini e profumi, per risvegliare i sensi e sollecitare le emozioni. Musica, degustazioni in riva al lago ed un percorso naturalistico guidato nei boschi limitrofi amplieranno l’offerta della kermesse. Tra gli eno-appassionati sempre grande attesa, in particolar modo per questa IX edizione – precisa ancora l’ideatrice del festival Sandra Ianni - che costituirà, tra l’altro, l’occasione per scoprire e degustare alcune produzioni vitivinicole monastiche mai degustate prima in Italia”. Si tratta, infatti, di un’anteprima assoluta in programma a Laghidivini 2016 dedicata alle produzioni vitivinicole biologiche della penisola Calcidica (Grecia) che vedrà anche la presenza dei coordinatori del “Progetto Monte Athos”, sostenuto dall’Università degli Studi della Tuscia di Viterbo, al convegno sulla cultura enogastronomica monastica della comunità ortodossa di Vatopedi, fissato per domenica 26 alle ore 20.00.


Al termine del festival la consueta assegnazione del Premio del pubblico Laghidivini, il riconoscimento attribuito al vino che ha ottenuto il maggior numero di preferenze durante il festival da parte dei visitatori. Un altro messaggio dell’evento da evidenziare è senz’altro quello volto a promuovere un bere consapevole, ovvero – come sottolinea l’associazione Epulae Bracciano organizzatrice dell’evento - un invito a bere il frutto della terra, prodotto nelle vicinanze dei laghi, nelle giuste dosi, per apprezzarlo appieno e godere di tutte le sue sfumature, nutrendosi anche della conoscenza e del valore culturale che il vino sottintende".

Un buon motivo per trascorrere il prossimo fine settimana sul meraviglioso specchio d'acqua del Lago di Bracciano.

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LAGHIDIVINI 2016 - IX edizione.
Lungolago Argenti, n.11 (ex-pontile degli inglesi) 24-26 giugno 2016.
L’ingresso alla manifestazione è gratuito, mentre per le degustazioni è necessario munirsi di apposito tagliando, previo contributo ed accredito al Punto Info.
L'immagine di apertura è tratta dal sito www.laghidivini.it

mercoledì 15 giugno 2016

Gioielli dietro l'angolo: il Museo di Casal de' Pazzi...a cena.


Il merito di installazioni museali come quelle di Casal de' Pazzi è quello di far avvicinare, con estrema facilità divulgativa, alle ricchezze inaspettate che abbiamo sotto i nostri piedi.
Ci troviamo nella periferia romana ad est, interessata negli ultimi decenni da una fortissima antropizzazione. Il quartiere prende il nome dal Casale nel quale abitò l'omonima famiglia rinascimentale, con aggiunte architettoniche nei successivi secoli,
Proprio in occasione degli scavi realizzati nel 1981 per le opere di urbanizzazione, fu rinvenuto un importantissimo sito risalente al Pleistocene medio, di ambiente fluviale.
Nel letto di un antico corso d'acqua vennero rinvenuti, nei 5 anni di scavi che seguirono il rinvenimento, ben 2200 resti ossei, 1.700 reperti litici e il frammento di un cranio umano, 
Si tratta quindi di un deposito, generato dall'azione di accumulo del corso d'acqua, di enorme importanza nella ricostruzione paleogeografica del Pleistocene e risulta, al momento, l'unico di età paleolitica scavato in modo sistematico nell'area urbana di Roma.

A partire dal 1800 nell'ambito cittadino avvennero numerose scoperte nel campo paleontologico legate proprio agli scavi in aree su cui sono sorte nuove strade ed interi quartieri; Ponte Mammolo, Monte delle Gioie, Sedia del Diavolo, Saccopastore sono nomi forse noti ai soli addetti ai lavori. Si tratta comunque di giacimenti totalmente scomparsi, obliterati dalla fitta edificazione.
Casal de' Pazzi resta l'unica testimonianza fruibile di questa antica campagna romana.


Notizie di carattere scientifico, che testimoniano dell'importanza del sito, sono ben descritte sulla pagina web del Museo. Particolarmente interessante questa "promiscuità" tra resti umani e resti animali di specie non più presenti nell'areale della nostra penisola.

"Il sito, situato sulla riva destra dell’Aniene, ad una quota di 32 m s.l.m., era caratterizzato da strati di ghiaie e sabbie piroclastiche (cioè originate rocce di origine vulcanica) in cui sono furono rinvenuti, con distribuzione non uniforme, industria litica e ossa fossiliLe ossa appartenevano soprattutto a grandi mammiferi (in particolare Elephas (Palaeoloxodon) antiquus, Hippopotamus amphibius, Bos primigenius, Cervus elaphus, Dicerorhinus sp.) e uccelli acquatici. Nel livello più basso, quasi sul fondo del bacino fluviale, fu rinvenuto un frammento di parietale umano.
Nell’ampio deposito furono asportati i riempimenti che riempivano l’alveo fino ad arrivare ad una delle rive del fiume. Una barriera naturale formata dal substrato di 'tufo litoide', roccia prodotta dal Vulcano Albano circa 360.000 anni fa, arrotondata poi dalle acque, aveva determinato un accumulo di resti faunistici di grandi dimensioni in un punto specifico del percorso fluviale, in particolare erano rimaste incastrate, tra le scogliere e i blocchi di tufo, zanne e ossa di Elephas. Nella parte più bassa del letto del fiume erano poi concentrati grandi blocchi trascinati dalla corrente, mentre le sponde erano più libere.
Lo spessore del deposito superava, al centro dell’alveo, oltre due metri e progressivamente diminuiva, fino a scomparire, in corrispondenza delle sponde. Di conseguenza, nelle aree marginali diminuiva anche la concentrazione di resti faunistici, in particolare quelli di grande taglia.
Sia per numero di ritrovamenti che per la loro dimensione, la specie animale che è diventata poi simbolo del sito, è l’Elephas (Palaeoloxodon) antiquus, rappresentato soprattutto dai resti di zanne (25 intere e una cinquantina frammentarie), ma anche da molari (60 interi, 120 frammentari), da frammenti di bacino e cranio e da ossa lunghe.
L’abbondante industria litica rinvenuta è quasi tutta ricavata da ciottoli di selce, sia proveniente dallo stesso deposito fluviale che da affioramenti lontani fino a 50 km dal sito.Sono rappresentati molti strumenti diversi, ma in maggioranza si tratta di strumenti tipici del Paleolitico medio, quali raschiatoi, denticolati, intaccature".
La visita, inferiore all'ora, è supportata da tecnologie multimediali e pannelli esplicativi che ricostruiscono l'antica geografia dei luoghi, anche con l'ausilio di filmati e simulazioni. All'esterno un giardino curato con specie presenti in epoca preistorica accoglie i visitatori mentre all'interno è allestita una mostra dei principali rinvenimenti, adiacente la struttura che ospita la musealizzazione di circa 400 metri quadri del giacimento originario 



A questo punto qualcuno si chiederà “E cosa c’entra un  museo paleontologico con la cucina?”Le  risposte sarebbero tante, ne scegliamo una perché nessuno, finora, aveva pensato di proporre una cena preistorica. Lo ha fatto il Museo di Casal de’ Pazzi, a conclusione  della cinque giorni di “Preistoria del cibo" L’alimentazione nella  preistoria e nella protostoria”, organizzati dall'Istituto Italiano di Preistoria e Protostoria nell'autunno scorso.
Tema principale  del convegno è stata l’alimentazione  umana “quando andavamo in giro coperti di pelli, quando costruivamo capanne su palafitte e inventavamo l’aratro, quando ci lanciavamo all'assalto con le spade di bronzo.”Tuttavia di proposte di cene a tema è  pieno il mondo del web e i temi sono i  più disparati, per i salutisti ci sono cene vegane, crudiste o vegetariane, per gli  archeologi e storici si va da quelle medievali, all'antica Roma o rinascimentali, poi quelle etniche con  cibi dei luoghi più disparati  dall'oriente all'occidente. Si è quindi trattato di un esperimento che ha visto fondersi  insieme, archeologia, geologia e cucina. Un pretesto per assaporare cibi arcaici per entrare  con la fantasia nelle usanze dei nostri  antenati.



Per una sera via Ciciliano (tipica strada della periferia romana, buia e poco frequentata, se non dai residenti), sede del museo, è stata illuminata  dal fuoco di un vero bivacco arcaico, che ha riempito l’aria di sapori ed odori sicuramente in parte  se non del tutto dimenticati.Lo staff del museo di Casal de’ Pazzi, aperto da meno di un anno, ha organizzato un evento diversificato: prima la visita accompagnata da filmati e  spiegazioni con giochi  multimediali e poi la cena pleistocenica, un vero salto nel tempo e nello spazio, quello di 200.000 anni fa, appunto, molto diverso da come noi moderni siamo abituati a vederlo.
Il menu della serata  prevedeva:


www.museocasaldepazzi.it
stinco di maiale cotto su pietra insalata di rucola, funghi e pera cartoccio di mandorle miele e frutti di bosco vere prelibatezze  pleistoceniche come ingredienti principali della cena preistorica. 
Unico ospite alieno, fuori tempo, il vino che ha comunque accompagnato i cibi. Sicuramente un’esperienza da ripetere nelle proprie  case e che ha  rappresentato  soprattutto un momento di apertura al territorio circostante che ha risposto positivamente all'iniziativa, a cui hanno aderito in  molti tra addetti ai lavori e cittadini che sono rimasti piacevolmente colpiti e che attendono un bis (anche noi lo attendiamo, avendolo perso). 



La scelta degli ingredienti è stata rigorosa, ad esempio, ovviamente, niente pomodori o melanzane  e solanacee  in genere  introdotte in Europa  dopo la scoperta dell’America.Inoltre i metodi di  preparazione  o cottura risentono della contaminazione con i giorni nostri. Si tratta quindi di una cena abbastanza raffinata e al tempo stesso facilmente riproducibile nelle proprie  cucine.Il menu di quella che è stata chiamata Pleistocena nasce dopo ricerche approfondite sulla alimentazione del Paleolitico, liberamente reinterpretata e adattata  al gusto odierno e  svolta attorno  a un focolare simile a quelli del passato.

Con l'occasione della visita è possibile anche ammirare il bellissimo dipinto dell'artista urbano Blu su un palazzo di sei piani in una via prossima al Museo, che racconta l'evoluzione/involuzione del nostro pianeta. Il murale è stato dipinto con il solo ausilio delle corde, senza impalcature 



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L’ingresso all'area pleistocenica di Casal de’ Pazzi è libero, previa prenotazione allo 060608. Il sito si aggiunge ai sette "piccoli musei" gratuiti che fanno parte del sistema dei Musei Civici romani: Museo Barracco, Villa di Massenzio, Museo delle Mura, Museo Bilotti, Museo Napoleonico e Museo Canonica a Villa Borghese, Museo della Repubblica Romana e della Memoria Garibaldina.

mercoledì 18 maggio 2016

Monte Soratte: bunker ed asparagi.


Il Monte Soratte, imponente mole solitaria che, in un'alba di nebbia, si erge maestosa come l'isola di un mare tropicale, è stato fonte di ispirazione di numerosi miti e leggende. fin dalla antichità.
Proprio per la struttura calcarea, che caratterizza questo rilievo a nord di Roma, era nota la presenza di profonde voragini carsiche disseminate all'interno dei boschi, che ne ricoprivano con continuità i versanti molto acclivi.
I "mèri", forma dialettale che nel centro Italia identifica comunemente i pozzi carsici (si pensi al Pozzo del Merro, sui Monti Cornicolani), erano considerati la porta degli inferi.
Nacque così il mito degli "Hirpi Sorani", i sacerdoti che proprio sul Soratte veneravano Apollo in forma di lupo, forse confuso con l'antica divinità italica di Soranus. Sui resti dei templi dedicati al culto pagano, nacquero una serie di eremi che oggi possiamo ammirare salendo sulla cima, con una rete sentieristica di facile percorribilità.


La vista dalla sommità è impagabile e consente di spaziare, specie nelle giornate più limpide, a 360 gradi su un'ampia area del territorio a nord di Roma, che interessa la Sabina e l'Appennino centrale, i complessi vulcanici del margine tirrenico laziale ed una vasta porzione della piana del Tevere, fino all'Umbria.
La posizione dominate, che con i 690 metri s.l.m. incombe sulla sottostante piana tiberina, ancora una volta è legata alla struttura geologica ed alla evoluzione morfodinamica di questo settore dell'Italia centrale, di cui il Monte Soratte rappresenta un elemento caratterizzante.
La struttura calcarea è del Trias superiore e successivamente giurassica (la formazione denominata Calcare Massiccio) che ne costituisce l'ossatura, fino alle più recenti fomazioni della Scaglia cretacico-eocenica.
Si tratta di una sedimentazione che, inizialmente, interessava un mare poco profondo e che avveniva su una sorta di rilievo sottomarino, quindi leggermente ridotta di spessore rispetto alle aree dei bacini circostanti.

Il Monte Soratte (toni di blu) da Carta Geologica d'Italia scala 1:100.000 - Foglio 144 Palombara Sabina
(da ISPRA http://193.206.192.231/carta_geologica_italia/tavoletta.php?foglio=144)
Una delle interpretazioni più note della antica morfologia dell'area, considera la presenza di un'unica dorsale ad orientamento NW-SE che comprendeva sia il Soratte che i Monti Cornicolani: una sorta di catena montuosa posta in direzione appenninica. Successivamente le forze distensive, che disarticolarono questa catena, determinarono un sostanziale sprofondamento della parte mediana, lasciando isolati i rilievi agli estremi, proprio come isole invase dal mare pliocenico, nel quale iniziò una sedimentazione di terreni sabbiosi ed argillosi di bacino aperto. La ricostruzione è tratta dal lavoro di Faccenna, Funiciello e Marra "Inquadramento geologico strutturale dell'area romana" in Mem. Descr. Carta Geol. d'Italia, vol. 50.

Campagna romana nel mare del Pliocene, con le isole del M.Soratte e dei M.Cornicolani (op.cit.)  
Una volta emersa, la piana venne successivamente coperta dai prodotti vulcanici quaternari che livellarono le forme su cui oggi scorre, con andamento sinuoso e meandriforme, il Fiume Tevere prima del suo ingresso nella Capitale.
Visitare il Monte Soratte è sempre una bellissima esperienza, per il patrimonio geobotanico che arricchisce il sito, come pure per la presenza del piccolo centro abitato di Sant'Oreste, che conserva, nel suo borgo antico, scorci e testimonianze storiche di un illustre passato. Il Monte Soratte è anche una Riserva Naturale, istituita con Legge Regionale Lazio n.29 del 06.10.1997, gestita dalla Città Metropolitana di Roma Capitale.
Tuttavia, una delle maggiori curiosità è certamente rappresentata dalla possibilità di scendere nel cuore della montagna, esplorando quella che rappresenta una delle più imponenti opere di ingegneria militare del secolo scorso: i Bunker del Soratte.


I Bunker nacquero nel 1937 per volere di Mussolini per ospitare una fabbrica di armi, localizzata per motivi strategici in questo luogo segreto e reso inaccessibile, alle porte della Capitale. Lo scavo fu particolarmente impegnativo, per le caratteristiche tenaci degli ammassi rocciosi interessati. Dopo alcune vicissitudini, dovute al periodo bellico, a partire dal settembre 1942, le gallerie furono la sede tedesca del Comando Supremo del Sud Europa, guidato dal Feldmaresciallo Kesserling, che vi rimase dieci mesi, fino al pesante bombardamento alleato avvenuto il 12 maggio 1944.
Un evento particolarmente significativo per le sorti del conflitto che risparmiò, quasi miracolosamente, il centro abitato e che, proprio nei giorni della nostra visita, è stato rievocato in una suggestiva rappresentazione storica.

Più recentemente, negli anni '60, i Bunker divennero il luogo prescelto per la costruzione del rifugio antiatomico che avrebbe dovuto ospitare il governo italiano in caso di guerra termonucleare; i lavori, tuttavia, vennero bruscamente interrotti nel 1972, lasciando l'installazione all'abbandono. Oggi la fitta rete di gallerie che attraversa per più di 4 km i calcari di quasi 200 milioni di anni, è ampiamente esplorabile, grazie alla meritoria opera di riqualificazione dell'Associazione che ne garantisce la salvaguardia e la visita in giornate prestabilite.


Salire sulla cima è una esperienza che si può percorrere in poche ore, anche in modo agevole, lasciando alle spalle il paese di Sant'Oreste e procedendo all'interno di una fitta vegetazione, con percorsi attrezzati anche con aree di sosta, fornite di fontanelle di acqua potabile e comodi tavoli.
Lungo il percorso sono continue le testimonianze del processo carsico, con forme superficiali sia macroscopiche (doline ed inghiottitoi), sia minori (solchi e campi carreggiati), legate entrambe al processo di dissoluzione delle rocce da parte delle acque meteoriche, rese aggressive dalla presenza di anidride carbonica disciolta in esse.


La roccia madre calcarea favorisce la formazione di suoli ad orizzonti non troppo differenziati, a volte con presenza di rocce affioranti, che per le loro forme favoriscono la presenza di tasche di alterazione di colore bruno e rossastro, ricche di materia organica. La vegetazione, favorita dalla presenza di zone ombreggiate e senza ristagno di acqua, che si infiltra rapidamente nelle rocce fratturate, è particolarmente ricca di specie arbustive, caratteristiche di questa fascia climatica, che si trovano continuità nella lunga passeggiata verso la cima: tra di esse, meritoria di menzione, è senza dubbio la notevole presenza dell'Asparago selvatico (Asparagus acutifolius L.).

Asparagus acutifolius L. (da Sapori di Flora, edito dal Ministero dell'Ambiente e  della  Tutela del Territorio e del Mare)

Gli asparagi selvatici sono presenti in quasi tutte le regioni italiane soprattutto in boschi e terreni incolti e possono arrivare oltre i mille metri di altitudine. Preferiscono terreni calacrei o argilloso-calcarei e per questo motivo trovano la loro dimora perfetta nel sottobosco del Monte Soratte dove regnano lecci, aceri, carpini, con la fillirea, e il terebinto. In cucina si utilizzano i "turioni" cioè i polloni della pianta che fuoriescono dalla base.

(da Sapori di Flora, edito dal Ministero dell'Ambiente e  della  Tutela del Territorio e del Mare)
L’Asparago era già consumato dagli Egizi e dagli antichi Romani che già nel 200 a.C. avevano dei manuali per la coltivazione. Viene citato da diversi autori del passato tra cui Teofrasto, Catone, Plinio che ne descrissero minuziosamente il metodo di coltivazione e di preparazione e Apicio da cui sono state tramandate alcune ricette nel "De res Coquinaria". Dal XV secolo è iniziata la coltivazione in Francia, per poi, nel XVI secolo arriva al massimo della popolarità anche in Inghilterra; solo successivamente giunge anche in Nord America.
In alcune regioni italiane la raccolta è regolamentata da leggi regionali che stabiliscono periodi di raccolta e il quantitativo massimo che di solito si aggira sul chilo a persona. In alcuni casi è richiesto un tesserino analogo a quello della raccolta funghi. Prima di raccogliere questi prodotti della natura è bene informarsi.
Altra raccomandazione e di non confonderli con i germogli del luppolo selvatico

Humus lupulus L. (da Sapori di Flora, edito dal Ministero dell'Ambiente e  della  Tutela del Territorio e del Mare)
o con quelli di pungitopo

Ruscus aculeatus L. (da Sapori di Flora, edito dal Ministero dell'Ambiente e  della  Tutela del Territorio e del Mare)
(entrambi chiamati spesso anche "asparagi selvatici"), anche questi ultimi sono commestibili e vengono raccolti a primavera per farne risotti, frittate, minestre e paste ripiene.

Il modo migliore per gustarli è comunque quello più semplice che mantenga il più possibile sapori e profumi della pianta. Quindi sono banditi sughi troppo elaborati o l'utilizzo della panna. Perfetto l'abbinamento con un ottimo olio extravergine di oliva, meglio se locale, aglio e peperoncino che ne esaltano la naturale bontà per condire una pasta acqua e farina prodotta con un grano duro antico italiano.

Tagliatelle di grano duro Timilìa e asparagi del monte Soratte

martedì 5 aprile 2016

Una spiaggia, una panchina e tanta pioggia


L'avventura di questo blog, tra le numerose cose positive, ci ha restituito la voglia di mettere di nuovo scarponi ai piedi e zaino in spalla, senza accampare scuse anche in caso di tempo incerto: si decide e si parte. In questa scelta ci si riproietta, inevitabilmente, al periodo universitario, quando di pioggia se ne prendeva comunque molta.
La curiosità maggiore è quella di tornare, non senza nostalgia, a visitare quegli stessi luoghi nei quali, qualche decennio fa, ci siamo cimentati studenti, magari al seguito di professori verso i quali l'inclemenza del tempo sembrava fosse una costante assoluta, un accanimento proverbiale.

Dalla nostra lista virtuale di sezioni stratigrafiche, affioramenti, ricordi e fossili, abbiamo estratto una strana combinazione, a dire il vero un po' esoterica: la panchina tirreniana, un deposito costiero che si forma nelle zone marine di risacca, ricchissima di resti fossili di molluschi.

Questa formazione è fortemente cementata per la precipitazione del carbonato di calcio e molto povera di terreni "fini" argillosi, che sono stati asportati proprio dal moto delle onde. E' presente in buona parte delle coste italiane e quella "tirreniana" fa riferimento proprio ad un periodo geologico così denominato e riferito al periodo caldo interglaciale Riss-Wurm, quello precedente l'ultima grande espansione glaciale.
Per comprendere l'ambiente di formazione, prendiamo a prestito una immagine esemplificativa del Museo di Geologia e Paleontologia dell'Università di Padova.


In un periodo in cui si fa un gran parlare di cambiamenti climatici, non dobbiamo dimenticare  che, giusto negli ultimi due milioni di anni, si sono verificati fasi che hanno portato ad intense modifiche del clima sulla Terra: fasi fredde, conosciute come glaciazioni, alle quali si sono però intervallati periodi molto caldi, interglaciali, nei quali il Mediterraneo ospitava una fauna ricchissima, tipica dei climi caldi, che oggi si rinviene sulle coste africane del Senegal. In realtà faceva molto più caldo di adesso ! Qui sotto la Patella ferruginea, un "ospite caldo" di origine senegalese presente sulle nostre coste durante le fasi interglaciali  del Pleistocene.


Uno dei principali effetti dell'espansione dei ghiacci e del loro successivo scioglimento furono le oscillazioni del livello del mare che raggiunse quote anche notevoli, oggi ricostruibili solo con attenti studi delle forme terrestri (gradini e terrazzamenti in particolare) e delle specie che ne abitavano gli ambienti, sia marini che continentali.
Una visione completa dell'area è quella che si legge nella cartografia ufficiale del Servizio Geologico d'Italia. I terreni contraddistinti dal numero 11 appartengono alla formazione del Conglomerato di Palo, con grossi ciottoli cementati, spesso forati da litodomi in eteropia o associati a calcareniti tipo panchina a Strombus bubonius del Pleistocene superiore.


                                                                                                                   
La nostra visita si è svolta, come da copione, in una giornata piovosa, partendo dalla spiaggia della cittadina di Ladispoli. In questo tratto la costa è in forte erosione e si procede verso Sud, con qualche difficoltà, su un piccolo sentiero tracciato nel primo terrazzo morfologico della duna a pochi metri rispetto al livello del mare, in direzione del Castello Odescalchi, ai margini dell'area protetta Bosco di Palo Laziale, visibile all'interno della recinzione .



Si tratta di una porzione molto caratteristica del litorale laziale e particolarmente ricca sotto l'aspetto naturalistico la presenza dell'area protetta, che ha limitato la forte spinta urbanistica, creando una condizione di particolare pregio ambientale.


Il Bosco di Palo Laziale (SIC IT6030022) è inserito per tale motivo nella Rete Natura 2000, un network europeo costituito da aree tutelate per la grande rilevanza degli ambienti e degli ecosistemi che le caratterizzano. Notizie ed iniziative si possono trovare alle pagine della Associazione Alsium, che cura anche la gestione dell'Oasi.

 
Una bellissima escursione, da effettuarsi al di fuori della stagione estiva che giunge, a circa metà del percorso verso il Castello, presso un tratto di costa fortemente erosa, in cui la particolare morfologia e le correnti permettono il deposito di un accumulo multicolore di resti di bivalvi e gasteropodi recenti (accompagnati purtroppo da rifiuti), che interrompono la continuità monotona dello scuro arenile di sabbia vulcanica.




Immaginiamo cosa potrebbe accadere se la litogenesi "fossilizzasse" improvvisamente questo ambiente, creando una roccia tenace e ricca di resti di molluschi.
L'erosione mostra una bella sezione di materiale vulcanico alterato e argillificato, testimone di un ambiente continentale e paludoso, con livello bruni più ricchi di torba.


Ovunque sono sparsi segni e testimonianze dei paleoambienti che si sono succeduti: resti di echinide,
 


lamellibranchi litofagi capaci di perforare chimicamente le rocce all'interno delle quali trascorrono l'intera vita e che sono importantissimi per ricostruire le antiche linee di riva, come oggi fanno i cosiddetti "datteri di mare"


e  coralli.



Molti dei molluschi lamellibranchi e dei gasteropodi che conosciamo sotto forme fossili finiscono nei nostri piatti sostanzialmente "immutati" rispetto ai loro antenati. Le cozze, ad esempio, pur essendo specie dal velocissimo adattamento (alcuni studi hanno dimostrato come siano state capaci in pochi anni di ispessire il loro guscio per reagire ad una improvvisa invasione di predatori), mantengono la loro fisiologia e la loro anatomia costante da milioni di anni e occupano la  stessa "nicchia  ecologica".
E finiscono per farci compagnia nelle nostre preparazioni e nei nostri abbinamenti, spesso di rapida realizzazione e di rara efficacia.
Un suggerimento per cambiare associazione per  similitudine è realizzare un  piatto di cozze allo zenzero che con il  suo profumo piccante che ricorda il nostro limone contrasta  alla perfezione con il dolce del mollusco.

L'accumulo di spiaggia attuale


invece ci ha ricordato un fumante sauté di frutti di mare con tanti Murex, un gasteropode  usato in antichità prima dai fenici e poi dai romani per  estrarre il colore porpora e oggi chiamato  "boccone"  o "sconciglio" secondo le  zone.


Per  finire non possono mancare degli  ottimi spaghetti con le vongole magari accompagnati con un po' di bottarga di muggine, un pesce  diffusissimo nelle  nostre coste.






martedì 22 marzo 2016

Terremoti e riti di Pasqua (pane compreso).


Per un particolare sincronismo del calendario 2016, la settimana che precede la Pasqua è anche la prima della Primavera. Una concomitanza piuttosto singolare, se si pensa al valore figurativo della stagione e della ricorrenza cattolica, entrambe simbolo di rinascita e di luce dopo la privazione e la penitenza dell'Inverno e della Quaresima. Quest’anno, per via del plenilunio e del solstizio, la Pasqua è particolarmente “bassa” ed i quaranta giorni di Quaresima che la introducono hanno, di fatto, ridotto il periodo di Carnevale, rendendolo particolarmente breve.


Certamente non come quello che si festeggia a L'Aquila.
fonte Wikipedia
Nel capoluogo abruzzese, infatti, il Carnevale è considerato il più corto del Mondo. L'origine di questa tradizione, che fa partire i festeggiamenti ogni anno non prima del giorno della Candelora, risale al 2 febbraio 1703, quando la città fu testimone e vittima di quello che le fonti storiche riconoscono come il più grave terremoto dell'Appennino centrale. 
La scossa, la più forte di una sequenza sismica che interessò per oltre 5 mesi un settore molto esteso fra Umbria e Abruzzo, fu devastante: L'Aquila fu rasa praticamente al suolo e si contarono migliaia di vittime, circa i due terzi della popolazione. La magnitudo stimata fu 6.7 Richter e l'intensità (nota come "scala Mercalli") pari a X MCS; i morti nell'intera area di risentimento del sisma pare superassero i 20.000.
La città, per segnare in modo indelebile nella propria storia quelle giornate, mutò i colori del proprio stemma dall'antico bianco e rosso all'attuale nero e verde, simboli di lutto e di speranza. 
Questo terremoto viene erroneamente preso a riferimento per un presunto legame con quello del 2009, ma così non è. L'attenta ricostruzione dell'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (I.N.G.V) ci mostra come il sisma più recente sia stato attivato da un sistema di faglie completamente diverso, posto più a sud rispetto all'evento storico del 1703. Nella immagine che segue, presa proprio dal sito web dell'Istituto, si nota chiaramente  la distribuzione dei danneggiamenti superiori al VII MCS causati dai diversi eventi sismici.

Danni superiori a VII MCS terremoti del 14.01.1703 (rossi), del 02.02.1703 (gialli) e del 06.04.2009 (verdi) - da I.N.G.V.
Epicentri così vicini a Roma provocarono danni e panico nella città pontificia.
Crollarono tre archi del secondo anello del Colosseo ed il materiale, nella migliore tradizione, venne utilizzato per costruire i Porto di Ripetta. Numerosi edifici e chiese vennero lesionate, compresa la Basilica di San Pietro ed il Quirinale. 
Fortissima fu la connotazione del terremoto come strumento con cui, nella cultura popolare, si rivelava la volontà di Dio: l'allora Papa Clemente XI ne approfittò per stringere un po' i cordoni allentati dal periodo carnevalesco, ma fu talmente colpito dagli eventi da istituire una apposita commissione scientifica che studiasse la possibilità di prevedere i terremoti.
Per il resto, come ci ricorda l'interessante saggio di V. Castelli e R. Camassi dell'I.N.G.V., nelle aree più danneggiate gli interventi furono "mirati ad assicurare la salvezza di morti, moribondi e sopravvissuti", mentre nelle zone interessate dal risentimento macrosismico "si svilupparono riti di espiazione collettiva e di ringraziamento per lo scampato pericolo".
In un periodo pieno di ritualità come quello quaresimale, nacque e si diffuse in Italia centrale il culto di S. Emidio, vescovo di Ascoli Piceno considerato il protettore dai terremoti.

Oltre a Roma, molti centri limitrofi subirono dei danni, ma di questi non rimangono molte tracce fra i documenti. Tracce che invece si rivelano a ripercorrerne i centri storici, come quello di Sant'Angelo Romano, borgo fortificato di origine medievale che sorge sulla cima di uno dei Monti Cornicolani, in realtà modesti rilievi posti circa 30 km ad est della Capitale. Il gruppo collinare, ideale confine fra la bassa Sabina e la Campagna Romana è un punto privilegiato per l'osservazione dell'evoluzione geologica dell'intero margine che va dal Mar Tirreno all'Appennino. 
Sant'Angelo poggia su un affioramento imponente di Calcare Massiccio, una roccia carbonatica che risale a circa 200 milioni di anni fa, un "alto strutturale" che rimase un'isola emersa nel corso delle ingressioni del mare pliocenico.



Una passeggiata tra le costruzioni, all'interno dell'antica cinta muraria che circonda il Castello Cesi-Orsini, mostra segni sulle strutture e altrettanti interventi architettonici realizzati in funzione antisismica, che sono una testimonianza diretta dei risentimenti dei catastrofici eventi del 1703.


Architrave ribassata a seguito del sisma per il cedimento delle pareti laterali
Un'architettura di ripristino molto funzionale, fatta di speroni e contrafforti, di archetti di collegamento tra i manufatti, che irrigidivano gli spigoli, dove si erano concentrate le sollecitazioni più elevate e realizzata con materiali completamente diversi dalle rocce calcaree con le quali erano state realizzate le abitazioni fino ad allora.


Finestre murate per assicurare la continuità delle strutture



E qualche estemporanea sorpresa geologica, come il Rosso Ammonitico con un bell'esemplare sui gradini della Chiesa parrocchiale.



E' difficile ricostruire se gli eventi sismici settecenteschi abbiano o meno  influito sulla ritualità del periodo quaresimale anche in quest'area. Sta di fatto che molto del simbolismo di questo periodo si riscontra proprio nel cibo che si consuma in questa festività e nella sua preparazione.
A Sant'Angelo Romano è d'uso accompagnare la ricca colazione della domenica di Pasqua con la pizza varata, un "pane rituale" che fonda le radici nella cultura popolare e contadina di queste aree. La voce dialettale, che ha il significato letterale di "arata", è legata alla creazione, con le dita, di solchi sul disco impastato a ricordare quelli dell'aratro e, successivamente, con i rebbi di una forchetta, dei semi, sempre prima della cottura.
Il valore apotropaico, di rinnovamento e di augurio per la nuova stagione in uscita dal periodo quaresimale è perpetuato da secoli a cura delle famiglie santangelesi, che custodiscono gelosamente la ricetta della pizza, uno degli oggetti simbolici per eccellenza e prodotto unico nel panorama della nostra penisola.
Un forno locale permette a tutti di gustarne il particolare profilo organolettico e la indubbia bontà.


Gentilmente concessa dal Forno Alimentari Lucani Gianna
Nella lunga conservazione la pizza perde l'umidità iniziale che la rende particolarmente fragrante; tuttavia, ancora oggi, viene prodotta in quantità "importanti" per il consumo familiare, che si protrae inevitabilmente oltre la ricorrenza pasquale. La ricetta tradizionale prevede dosi significative, con i quali si realizzano oltre 20 pizze del diametro di circa 30 centimetri:

6 kg di farina
6 cubetti di lievito di birra
1 litro di olio EVO
1 litro di acqua
36 uova

La cottura prevede circa 30 minuti di passaggio in forno.



Un video illustra il procedimento di prepararazione di questa pizza e ci invita al consumo nel modo tradizionale farcita con uova sode e corallina, la tradizionale salamella romana, accompagnata da un buon calice di vino rosso.


Geologia e Cucina augura a tutti una Buona Pasqua.