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lunedì 10 ottobre 2016

Settimana del Pianeta Terra, dal 16 al 23 ottobre tornano i “Geoeventi” in tutta Italia.

foto Press Play

Torna per il quarto anno la Settimana del Pianeta Terra, il Festival nazionale della Scienza che quest’anno coinvolgerà con 313 Geoeventi” oltre 230 diverse località, enti di ricerca, associazioni, università, evento di cui avevamo già raccontato nei mesi scorsi su Geologia e Cucina.

Obiettivo degli organizzatori: avvicinare adulti e ragazzi alle Geoscienze e promuovere le risorse naturali più spettacolari e poco conosciute del Paese.
Sette giorni di manifestazioni in tutta Italia e decine di migliaia di persone coinvolte: torna per il quarto anno la “Settimana del Pianeta Terra”, il Festival della Scienza che dal 16 al 23 ottobre 2016 trasformerà le città italiane in laboratori a cielo aperto.
Obiettivo del Festival è avvicinare adulti e ragazzi alle Geoscienze, trasmettendo l'entusiasmo per la ricerca e la scoperta scientifica. Per farlo, oltre 230 località italiane per una intera settimana verranno animate dai “Geoeventi” organizzati da università e scuole, enti di ricerca, enti locali, associazioni culturali e scientifiche, parchi e musei, mondo professionale. Dalle escursioni alle visite guidate, dai laboratori didattici e sperimentali alle attività musicali, passando per conferenze, workshop e spettacoli: la “Settimana del Pianeta Terra” offrirà eventi adatti a tutti, valorizzando il patrimonio geologico italiano e mettendo a disposizione l’offerta naturalistica del Paese, fatta di montagne e ghiacciai, grandi laghi, fiumi, colline, coste e paesaggi marini, isole, vulcani. Il festival intende infatti promuovere un turismo culturale, sensibile ai valori ambientali, diffuso su tutto il territorio italiano.
Con i Geoeventi saranno messe in risalto le risorse naturali più spettacolari e poco conosciute che spesso, senza saperlo, si nascondono proprio a due passi da casa.
Con i Geoeventi sarà possibile vestire i panni del Geologo per un giorno” con escursioni per conoscere dal vivo come il geologo raccoglie i dati da Gaia e ne trae una miniera di informazioni per la ricostruzione degli ambienti del passato. Saranno raccontate le mille sfaccettature del territorio italiano: dal Nord al Sud si racconteranno i vulcani, anche attraverso la poesia e la pittura, i laghi e le lagune, le frane e le loro cause. Un occhio di riguardo sarà rivolto alla Basilicata e a Matera con una giornata che presenterà al grande pubblico le peculiarità geologiche della regione, attraverso un viaggio che dal capoluogo lucano condurrà fino alla Capitale Europea della Cultura per il 2019.

Territorio e arte: alla scoperta dei paesaggi della Gioconda
In quanti sanno che il panorama alle spalle della Gioconda esiste ed è ancora oggi riconoscibile? Si trova tra Toscana, Marche, Umbria e Romagna e a svelarlo sarà proprio uno dei Geoeventi della Settimana della Terra, in grado di unire la scoperta del territorio e dell’ambiente a quella dell’arte. Anche la letteratura sarà protagonista con un emozionante viaggio tra le solfare della Sicilia e la storia di Ciaula scopre la luna, capolavoro di Luigi Pirandello.

Nei laboratori in cui si studiano i terremoti
I terremoti sono purtroppo spesso di attualità nel nostro Paese, per questo è molto importante studiare con attenzione i movimenti e gli eventi sismici che si registrano nel sottosuolo italiano per capirne meglio i meccanismi. Tra gli eventi dedicati a questi fenomeni per la Settimana del Pianeta Terra, c'è quello del Centro Ricerche Sismologiche dell'Istituto Nazionale di Oceanografia e Geologia Sperimentale di Udine, che dedicherà incontri e visite guidate ai laboratori dove operano i sismologi e gli esperti del centro, per dare la possibilità di conoscere da vicino il loro lavoro.

Dalla Terra...alla Luna in un GeoeventoViaggiare nello spazio e nel tempo fino a 300 milioni di anni fa: non è fantascienza ma la geo-escursione organizzata sulle Alpi Carniche che porterà i più avventurosi a scoprire depositi sedimentari fossiliferi che 300 milioni di anni fa si accumulavano in uno straordinario scenario fatto di fiumi, delta e mari bassi. Nel Parco Nazionale dell’Aspromonte si incontra invece un Geosito tra i più particolari in Italia, quello della grande Frana Colella, di rilevanza europea ed internazionale: costituisce infatti uno dei più estesi fenomeni franosi d’Europa, in rocce cristallino-metamorfiche.

Alla scoperta delle zolfatare marchigianeChiuse ormai da oltre mezzo secolo, rimane solo il ricordo delle miniere di zolfo delle Marche e di un distretto minerario di importanza mondiale che, dopo la Sicilia, era il maggiore del Paese. L'industria solfifera italiana, che per secoli detenne il monopolio mondiale, ora però non esiste più. Ma come e quando si è formato lo zolfo nelle Marche? Come si estraeva? Che uso se ne fa? A queste ed ad altre domande si cercherà di dare una risposta con attività interattive e un “caffè scientifico” con intermezzi letterari e musicali sul tema, al Museo della Scienza di Camerino (MC).

Sabato 22  ottobre 2016 con l'aiuto degli amici della ProLoco e del Comune di Sant'Angelo Romano, di Ispra (che quest'anno ha  dato il patrocinio alla manifestazione e che organizza ben tre eventi), insieme a Marco Giardini, paleo ed archeobotanico presso l'Università La Sapienza di Roma, vogliamo replicare il successo dello scorso anno, narrando le meraviglie carsiche dei Monti Cornicolani, a nord est di Roma, tra le quali spicca il Pozzo del Merro, la cavità carsica allagata più profonda del mondo (-392 metri).

Per presentare la manifestazione La Settimana del Pianeta Terra ha organizzato due tour con l'intento di dare un assaggio di quello che  saranno gli eventi in programma dal 16  al 23 ottobre su tutto il territorio italiano.
Il primo si è svolto in Valle d'Aosta. Nel secondo abbiamo partecipato anche  noi. Guidati dall'associazione GeoNatura e con l'assistenza delle Guide del Parco Regionale dei Castelli Romani, e accompagnati dagli organizzatori i professori Rodolfo Cocconi e Silvio Seno, sono stati visitati i  centri di Nemi con  l'omonimo lago e  Castel Gandolfo affacciato  anch'esso sul  lago da cui prende il nome.

foto Press Play
E' stata poi la volta  di Tusculum,
foto Press Play

antica città romana, di cui tra  l'altro è ancora conservato il bellissimo teatro e da  dove si gode una vista unica sull'intero edificio vulcanico.

foto Press Play
La visita si  è conclusa a Monte Porzio Catone con la  visita al Museo Diffuso del vino, costituito da tre  sale ospitate in ambienti destinati alla lavorazione e alla conservazione del vino, i cosiddetti  tinelli, dove è stato  illustrato lo stretto legame tra  produzione  vinicola in tutte le  sue  fasi dalla  coltivazione  alla  distribuzione e gli stretti legami  con  il territorio.
foto Press Play

Ultimissima tappa la visita di un'azienda vitivinicola con l'illustrazione del  percorso produttivo con un assaggio di  vini e  prodotti enogastronomici locali.
foto Press Play

Tutte le foto del tour fatte da Gelogia e Cucina sono sulla nostra pagina Facebook:
QUI

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Maggiori informazioni su
Sito: www.settimanaterra.org
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Ufficio stampa Settimana del Pianeta Terra:
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mercoledì 8 giugno 2016

La via Salaria tra sorgenti, antiche chiese e fosse inaspettate.




Lo spirito dei nostri racconti è quello di stimolare la scoperta ed invitare, innanzitutto il lettore, alla visita di luoghi che è possibile raccontare solo limitatamente nello spazio di un post. Esistono, ad esempio, antiche vie che le odierne richieste di mobilità hanno trasformato in assi a rapido scorrimento: in questi casi intere aree e piccoli centri abitati, la cui micro-economia veniva sostenuta anche da fruitori di questi strade, specie nel comparto turistico, sono ora tagliate fuori da un frettoloso passaggio sulle quattro corsie di asfalto.
La Strada Statale Salaria non fa eccezione: numerose rettifiche e varianti ne velocizzano l'avvicinamento verso l'Adriatico, fonte di approvvigionamento dell'antico sale romano.


Più di un tratto merita un rallentamento, con la complicità degli autovelox fissi disseminati lungo il percorso: ad una ventina di km oltre Rieti, la prima sosta d'obbligo è quella della Piana di San Vittorino, tra il gruppo del Terminillo e quello del Velino, a poco più di 400 metri di quota s.l.m.. Si tratta di una delle aree maggiormente indagate dell'intero Lazio, per l'incredibile concentrazione di geodiversità racchiuse in poco più di 7 km quadrati. Siamo in un contesto ambientale unico, in un comprensorio costellato di sorgenti e canali, nonché dai corsi omonimi del Velino e del Peschiera.
L'intero ambito è anche un Sito di Interesse Comunitario, per la presenza di una eccezionale diversificazione di habitat, legati in gran parte all'ambiente acquatico.
La piana è caratterizzata da una importante circolazione idrica termominerale, sfruttata già in epoca antica (le Terme di Cotilia) con una significativa attività di emissione di gas, che dissemina la zona di un numero significativo di sorgenti, come ci testimonia l'immagine di apertura dei laghi termali.

La zona sotto l'aspetto geologico è molto complessa, in quanto è legata alla convergenza di diverse formazioni che la tettonica ha frammentato ed impilato: troviamo così calcari di antiche piattaforme coralline, sedimenti più fini dei bacini di mare aperto, torbiditi generate dal disfacimento delle catene montuose in formazione, terreni alluvionali più recenti che hanno colmato progressivamente la piana.
Senza entrare in un dettaglio accademico, ci limitiamo ad elencare i maggiori fenomeni oggi osservabili, che fanno proprio della Piana di San Vittorino un unicum dell'intera penisola.
Sul versante sinistro della pianura sono localizzate le sorgenti carsiche del Peschiera che, con una portata di quasi 20 metri cubi al secondo, risultano tra le maggiori in Europa e costituiscono una insostituibile fonte di approvvigionamento idropotabile per l'intera provincia di Roma, capitale compresa.
Questo particolare assetto geologico ha permesso la genesi di numerosi sprofondamenti del suolo, anche localizzati, noti come sinkhole. In uno di questi, proprio in corrispondenza di una curva della via Salaria, è finita una Chiesa del 1600.

L'ingresso della Chiesa di San Vittorino
Si tratta di un sito di incredibile suggestione, il cui fascino è aumentato anche da una certa pericolosità nell'accesso; il dinamismo del sottosuolo è testimoniato da un laghetto limpidissimo sul pavimento completamente scomparso, all'interno del quale si assiste ad una continua fuoriuscita di gas sotto forma di bolle. Particolare come uno dei principali episodi che generarono lo sprofondamento della Chiesa, sia legato ai grande terremoti appenninici del 1703, di cui abbiamo parlato anche in altri post.

La risorgiva all'interno della Chiesa di San Vittorino
I fenomeni geologici hanno determinato una grande influenza sugli elementi antropici introdotti nell'area da almeno sue secoli. Basti pensare alla modifica del corso del Fiume Velino che originariamente si snodava ai piedi del Monte Nuria e, a partire dal 1883, venne posizionato al centro della piana con alveo sospeso e rettificato, per evitare le frequenti alluvioni che generava. Anche la linea ferroviaria venne ripetutamente dislocata in posizione mediana per problematiche di dissesto, mentre la via Salaria subì solo piccole rettifiche perché fondata su rocce carbonatiche e non sui depositi alluvionali di colmamento, maggiormente soggetti a sprofondamenti.

Il Fiume Velino
Ma una delle scoperte più curiose, che ci ha ispirato immediatamente la connessione tra i due temi dominanti del nostro blog, l'abbiamo riscontrata con la visita al nostro amico Eugenio, uno tra gli infaticabili promotori di Gustovino, in occasione della annuale "apertura della fossa".
Questa tradizione famigliare, che si ripete da alcuni anni, diventa occasione conviviale che coinvolge il piccolo centro abitato di Ponte, frazione di Castel S.Angelo, posto alle propaggini orientali della piana di cui si è parlato, e consiste nella "riesumazione e consumazione" di alcuni formaggi posti ad affinare avvolti in teli, juta e paglia, al termine del periodo estivo, in una piccola cavità scavata nella roccia. La tecnica richiama la tradizione storica di stagionatura che ha nelle aree di Sogliano al Rubicone (FC) una delle loro massime espressioni organolettiche, conferendo ai formaggi sapori piccanti e tipici odori pungenti.



Senza scomodare questi "mostri sacri" dell'arte casearia italiana, tutelati dal marchio D.O.P. e simbolo ancora una volta dell'enorme patrimonio che offre la nostra penisola nel settore agroalimentare, ma visti gli incoraggianti risultati al nostro palato del formaggio pontese, ci siamo addentrati nelle verifiche in sito per scoprire che, proprio l'assetto geologico, rappresenta un'inaspettata convergenza tra il "microhabitat" che si crea nelle fosse di affinamento, per la presenza di terreni che appaiono sostanzialmente assimilabili per entrambi i siti.
Qui sotto le carte geologiche di Ponte di Castel S.Angelo e di Sogliano al Rubicone, ove affiorano i "Tufi", così dalla terminologia locale, in quanto pietre porose adatte al taglio e utilizzate spesso come materiale da costruzione: in realtà si tratta di litologie arenacee fortemente cementate.


Carta Geologica d'Italia 1:100.000 Foglio 139 "L'Aquila" e legenda
(http://193.206.192.231/carta_geologica_italia/tavoletta.php?foglio=139)

Carta Geologica d'Italia 1:100.000 Foglio 100 "Forli" e legenda
(http://193.206.192.231/carta_geologica_italia/tavoletta.php?foglio=100)


Se nei "tufi" della Val Marecchia si cela buona parte dei segreti delle fosse romagnole, nel "tufo" che affiora in modo esteso nei versanti lungo il corso del Velino sono state scavate le cavità dove per qualche mese hanno subito il processo di affinamento i formaggi che abbiamo degustato.

Litologia, genesi, terminologia, età assimilabile: un'incredibile coincidenza, non trovate ?


mercoledì 18 maggio 2016

Monte Soratte: bunker ed asparagi.


Il Monte Soratte, imponente mole solitaria che, in un'alba di nebbia, si erge maestosa come l'isola di un mare tropicale, è stato fonte di ispirazione di numerosi miti e leggende. fin dalla antichità.
Proprio per la struttura calcarea, che caratterizza questo rilievo a nord di Roma, era nota la presenza di profonde voragini carsiche disseminate all'interno dei boschi, che ne ricoprivano con continuità i versanti molto acclivi.
I "mèri", forma dialettale che nel centro Italia identifica comunemente i pozzi carsici (si pensi al Pozzo del Merro, sui Monti Cornicolani), erano considerati la porta degli inferi.
Nacque così il mito degli "Hirpi Sorani", i sacerdoti che proprio sul Soratte veneravano Apollo in forma di lupo, forse confuso con l'antica divinità italica di Soranus. Sui resti dei templi dedicati al culto pagano, nacquero una serie di eremi che oggi possiamo ammirare salendo sulla cima, con una rete sentieristica di facile percorribilità.


La vista dalla sommità è impagabile e consente di spaziare, specie nelle giornate più limpide, a 360 gradi su un'ampia area del territorio a nord di Roma, che interessa la Sabina e l'Appennino centrale, i complessi vulcanici del margine tirrenico laziale ed una vasta porzione della piana del Tevere, fino all'Umbria.
La posizione dominate, che con i 690 metri s.l.m. incombe sulla sottostante piana tiberina, ancora una volta è legata alla struttura geologica ed alla evoluzione morfodinamica di questo settore dell'Italia centrale, di cui il Monte Soratte rappresenta un elemento caratterizzante.
La struttura calcarea è del Trias superiore e successivamente giurassica (la formazione denominata Calcare Massiccio) che ne costituisce l'ossatura, fino alle più recenti fomazioni della Scaglia cretacico-eocenica.
Si tratta di una sedimentazione che, inizialmente, interessava un mare poco profondo e che avveniva su una sorta di rilievo sottomarino, quindi leggermente ridotta di spessore rispetto alle aree dei bacini circostanti.

Il Monte Soratte (toni di blu) da Carta Geologica d'Italia scala 1:100.000 - Foglio 144 Palombara Sabina
(da ISPRA http://193.206.192.231/carta_geologica_italia/tavoletta.php?foglio=144)
Una delle interpretazioni più note della antica morfologia dell'area, considera la presenza di un'unica dorsale ad orientamento NW-SE che comprendeva sia il Soratte che i Monti Cornicolani: una sorta di catena montuosa posta in direzione appenninica. Successivamente le forze distensive, che disarticolarono questa catena, determinarono un sostanziale sprofondamento della parte mediana, lasciando isolati i rilievi agli estremi, proprio come isole invase dal mare pliocenico, nel quale iniziò una sedimentazione di terreni sabbiosi ed argillosi di bacino aperto. La ricostruzione è tratta dal lavoro di Faccenna, Funiciello e Marra "Inquadramento geologico strutturale dell'area romana" in Mem. Descr. Carta Geol. d'Italia, vol. 50.

Campagna romana nel mare del Pliocene, con le isole del M.Soratte e dei M.Cornicolani (op.cit.)  
Una volta emersa, la piana venne successivamente coperta dai prodotti vulcanici quaternari che livellarono le forme su cui oggi scorre, con andamento sinuoso e meandriforme, il Fiume Tevere prima del suo ingresso nella Capitale.
Visitare il Monte Soratte è sempre una bellissima esperienza, per il patrimonio geobotanico che arricchisce il sito, come pure per la presenza del piccolo centro abitato di Sant'Oreste, che conserva, nel suo borgo antico, scorci e testimonianze storiche di un illustre passato. Il Monte Soratte è anche una Riserva Naturale, istituita con Legge Regionale Lazio n.29 del 06.10.1997, gestita dalla Città Metropolitana di Roma Capitale.
Tuttavia, una delle maggiori curiosità è certamente rappresentata dalla possibilità di scendere nel cuore della montagna, esplorando quella che rappresenta una delle più imponenti opere di ingegneria militare del secolo scorso: i Bunker del Soratte.


I Bunker nacquero nel 1937 per volere di Mussolini per ospitare una fabbrica di armi, localizzata per motivi strategici in questo luogo segreto e reso inaccessibile, alle porte della Capitale. Lo scavo fu particolarmente impegnativo, per le caratteristiche tenaci degli ammassi rocciosi interessati. Dopo alcune vicissitudini, dovute al periodo bellico, a partire dal settembre 1942, le gallerie furono la sede tedesca del Comando Supremo del Sud Europa, guidato dal Feldmaresciallo Kesserling, che vi rimase dieci mesi, fino al pesante bombardamento alleato avvenuto il 12 maggio 1944.
Un evento particolarmente significativo per le sorti del conflitto che risparmiò, quasi miracolosamente, il centro abitato e che, proprio nei giorni della nostra visita, è stato rievocato in una suggestiva rappresentazione storica.

Più recentemente, negli anni '60, i Bunker divennero il luogo prescelto per la costruzione del rifugio antiatomico che avrebbe dovuto ospitare il governo italiano in caso di guerra termonucleare; i lavori, tuttavia, vennero bruscamente interrotti nel 1972, lasciando l'installazione all'abbandono. Oggi la fitta rete di gallerie che attraversa per più di 4 km i calcari di quasi 200 milioni di anni, è ampiamente esplorabile, grazie alla meritoria opera di riqualificazione dell'Associazione che ne garantisce la salvaguardia e la visita in giornate prestabilite.


Salire sulla cima è una esperienza che si può percorrere in poche ore, anche in modo agevole, lasciando alle spalle il paese di Sant'Oreste e procedendo all'interno di una fitta vegetazione, con percorsi attrezzati anche con aree di sosta, fornite di fontanelle di acqua potabile e comodi tavoli.
Lungo il percorso sono continue le testimonianze del processo carsico, con forme superficiali sia macroscopiche (doline ed inghiottitoi), sia minori (solchi e campi carreggiati), legate entrambe al processo di dissoluzione delle rocce da parte delle acque meteoriche, rese aggressive dalla presenza di anidride carbonica disciolta in esse.


La roccia madre calcarea favorisce la formazione di suoli ad orizzonti non troppo differenziati, a volte con presenza di rocce affioranti, che per le loro forme favoriscono la presenza di tasche di alterazione di colore bruno e rossastro, ricche di materia organica. La vegetazione, favorita dalla presenza di zone ombreggiate e senza ristagno di acqua, che si infiltra rapidamente nelle rocce fratturate, è particolarmente ricca di specie arbustive, caratteristiche di questa fascia climatica, che si trovano continuità nella lunga passeggiata verso la cima: tra di esse, meritoria di menzione, è senza dubbio la notevole presenza dell'Asparago selvatico (Asparagus acutifolius L.).

Asparagus acutifolius L. (da Sapori di Flora, edito dal Ministero dell'Ambiente e  della  Tutela del Territorio e del Mare)

Gli asparagi selvatici sono presenti in quasi tutte le regioni italiane soprattutto in boschi e terreni incolti e possono arrivare oltre i mille metri di altitudine. Preferiscono terreni calacrei o argilloso-calcarei e per questo motivo trovano la loro dimora perfetta nel sottobosco del Monte Soratte dove regnano lecci, aceri, carpini, con la fillirea, e il terebinto. In cucina si utilizzano i "turioni" cioè i polloni della pianta che fuoriescono dalla base.

(da Sapori di Flora, edito dal Ministero dell'Ambiente e  della  Tutela del Territorio e del Mare)
L’Asparago era già consumato dagli Egizi e dagli antichi Romani che già nel 200 a.C. avevano dei manuali per la coltivazione. Viene citato da diversi autori del passato tra cui Teofrasto, Catone, Plinio che ne descrissero minuziosamente il metodo di coltivazione e di preparazione e Apicio da cui sono state tramandate alcune ricette nel "De res Coquinaria". Dal XV secolo è iniziata la coltivazione in Francia, per poi, nel XVI secolo arriva al massimo della popolarità anche in Inghilterra; solo successivamente giunge anche in Nord America.
In alcune regioni italiane la raccolta è regolamentata da leggi regionali che stabiliscono periodi di raccolta e il quantitativo massimo che di solito si aggira sul chilo a persona. In alcuni casi è richiesto un tesserino analogo a quello della raccolta funghi. Prima di raccogliere questi prodotti della natura è bene informarsi.
Altra raccomandazione e di non confonderli con i germogli del luppolo selvatico

Humus lupulus L. (da Sapori di Flora, edito dal Ministero dell'Ambiente e  della  Tutela del Territorio e del Mare)
o con quelli di pungitopo

Ruscus aculeatus L. (da Sapori di Flora, edito dal Ministero dell'Ambiente e  della  Tutela del Territorio e del Mare)
(entrambi chiamati spesso anche "asparagi selvatici"), anche questi ultimi sono commestibili e vengono raccolti a primavera per farne risotti, frittate, minestre e paste ripiene.

Il modo migliore per gustarli è comunque quello più semplice che mantenga il più possibile sapori e profumi della pianta. Quindi sono banditi sughi troppo elaborati o l'utilizzo della panna. Perfetto l'abbinamento con un ottimo olio extravergine di oliva, meglio se locale, aglio e peperoncino che ne esaltano la naturale bontà per condire una pasta acqua e farina prodotta con un grano duro antico italiano.

Tagliatelle di grano duro Timilìa e asparagi del monte Soratte