Visualizzazione post con etichetta Roma. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Roma. Mostra tutti i post

mercoledì 19 ottobre 2016

Il razionalismo materico del Mercato Centrale di Roma Termini.



Si è fatto un gran parlare, tra addetti ai lavori e non, del nuovo concept che ha aperto i battenti il 5 ottobre a Roma Termini: si tratta del Mercato Centrale Roma che, come si legge nel comunicato stampa, diventa una destinazione del gusto da vivere.
Una serie di botteghe, allineate nell'ala Mazzoniana della stazione, sul fianco di Via Giolitti, uno spazio amabilmente progettato negli anni '30 dall'architetto Angiolo Mazzoni.
La squadra di tutto rispetto, con il meglio degli "artigiani" romani del cibo: si va da Gabriele Bonci, l'imperatore della pizza nella Capitale, alle carni di Roberto Liberati, al mitico Trapizzino di Stefano Calegari, passando per i fritti di Martino Bellicampi di Pastella, i funghi di Gabriele La Rocca da Oriolo Romano, le paste fresche di Egidio Michelis e i carciofi di Alessandro Conti, storica bottega di Campo de'  Fiori e Luca Veralli con i gelati e semifreddi di Cremilla.


Da fuori regione arrivano Pierangelo Fanti, che venderà cioccolato Steiner e fiori recisi, Beppe Giovale, affinatore di formaggi, Marcella Bianchi con le proposte vegetariane e vegane, l'hamburgher di chianina di Enrico Lagorio, le specialità siciliane di Carmelo Pannocchietti di Arà e la pizza spicchiata di Romualdo Rizzuti.
L'area bar rientra nella Capitale con il Caffé di Franco Mondi di MondiCaffé, mentre al piano superiore la grande "dispensa" affidata alla bottega La Tradizione di Salvatore de Gennaro da Vico Equense.
Ciliegina sulla torta il ristorante, guidato da Oliver Glowing, chef stellato che propone piatti della tradizione romana.


Questo ben di Dio affascina gli avventori con un vero e proprio percorso del gusto, alla portata di tutti dalle 7 alla mezzanotte permettendo finalmente la fruizione degli spazi della stazione con un orario lungo. Ma un fascino che non dovrebbe sfuggire a chi passerà al Mercato Centrale anche solo il tempo di attesa del treno è quello della architettura di questo fianco della Stazione Termini, parallelo ai binari "alti" di Roma Termini, notoriamente dedicati al traffico verso la direttrice tirrenica e l'Aeroporto di Fiumicino.   
L’Ala Mazzoniana, tutelata dalla Soprintendenza per i Beni Culturali, razionalizzò l’edificio laterale di via Giolitti, lungo oltre 300 metri e alto quasi 30 metri: Fu progettato per accogliere i principali servizi ai viaggiatori, con altissime volte in mattoncini a cui fanno da contrasto marmi pregiati.


La Cappa ospitava il ristorante di stazione, con pareti e pilastri in lastre di Marmo ed una vera e propria cappa da cucina (da qui il nome) rivestita anch'essa in marmo, con misure di tutto rispetto; 10 metri di altezza, 15 di lunghezza per una larghezza di 4.
Recentemente ripristinata dopo essere stata destinata ad Air Terminal e magazzino, ospita ora il Mercato Centrale Roma nella monumentalità dei suoi locali.


La pietra utilizzata dall'architetto Mazzoni viene commercialmente denominata Breccia Medicea o Breccia di Serravezza, dalla località omonima da cui veniva storicamente estratta, sita sul Monte Corchia nelle Alpi Apuane. Da Serravezza, le attività  estrattive si sono successivamente spostate nella località  di Stazzema, distante una decina di chilometri verso est.
E' una pietra ornamentale di grande fascino, che genera forti contrasti di colore proprio per le sue origini geologiche, Per la descrizione troviamo aiuto nel database della collezione litomineralogica dell'Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA), da cui sono tratte le notizie qui sotto.
La Breccia Medicea è una pietra ornamentale caratterizzata da un fondo rosso-violaceo o nero, contenente macchie (clasti) di colore assai variabile: bianco, rosa, rosso, verde chiaro o grigio, aventi forma spigolosa, spesso allungata con tendenza all'iso-orientazione, e dimensioni da millimetriche a centimetriche. Sono presenti anche venature di colore grigiastro, larghe da alcuni millimetri a pochi centimetri, ad andamento irregolare.


Questa pietra possiede notevole eterogeneità nell'aspetto, non solo passando da un sito estrattivo all'altro ma anche all'interno della stessa cava. Per questo motivo, con il perdurare della coltivazione nelle diverse epoche, si sono succedute varietà  del litotipo dall'aspetto anche notevolmente differente. La denominazione di Breccia di Serravezza o Serravezza antica (dall'omonima località  di cavatura) può essere utilizzata per indicare i tipi estratti ed impiegati in epoca romana.
La denominazione di Breccia Medicea, invece, può essere utilizzata per indicare i tipi estratti ed impiegati in epoca rinascimentale (quando le cave erano sotto la podestà  della famiglia Medici di Firenze). La Breccia Medicea possiede un fondo violetto contenente macchie gialle, rosse, verdi o grigie, di dimensioni da millimetriche a centimetriche.


Sotto l'aspetto petrografico, la Breccia di Serravezza è una breccia tettonica (roccia sedimentaria clastica), successivamente sottoposta a metamorfismo di basso grado. Il litotipo originario, a composizione prevalentemente carbonatica, ha quindi subito una debole ricristallizzazione, con tendenza all'iso-orientazione dei clasti. I clasti hanno composizione prevalentemente calcitica e subordinatamente dolomitica. Il cemento contiene clorite, ematite (da cui derivano le colorazioni sui toni del rosso-violaceo) e sostanze carboniose (da cui derivano le colorazioni sui toni del nero). Altri costituenti mineralogici accessori sono quarzo e pirite. Oltre al carbonato di calcio e magnesio, quindi, la roccia contiene anche silice e allumina.

Visitare il Mercato Centrale può essere una ottima occasione per ammirare questa unicità architettonica, solleticando il palato con le bontà che ospita al suo interno.

mercoledì 15 giugno 2016

Gioielli dietro l'angolo: il Museo di Casal de' Pazzi...a cena.


Il merito di installazioni museali come quelle di Casal de' Pazzi è quello di far avvicinare, con estrema facilità divulgativa, alle ricchezze inaspettate che abbiamo sotto i nostri piedi.
Ci troviamo nella periferia romana ad est, interessata negli ultimi decenni da una fortissima antropizzazione. Il quartiere prende il nome dal Casale nel quale abitò l'omonima famiglia rinascimentale, con aggiunte architettoniche nei successivi secoli,
Proprio in occasione degli scavi realizzati nel 1981 per le opere di urbanizzazione, fu rinvenuto un importantissimo sito risalente al Pleistocene medio, di ambiente fluviale.
Nel letto di un antico corso d'acqua vennero rinvenuti, nei 5 anni di scavi che seguirono il rinvenimento, ben 2200 resti ossei, 1.700 reperti litici e il frammento di un cranio umano, 
Si tratta quindi di un deposito, generato dall'azione di accumulo del corso d'acqua, di enorme importanza nella ricostruzione paleogeografica del Pleistocene e risulta, al momento, l'unico di età paleolitica scavato in modo sistematico nell'area urbana di Roma.

A partire dal 1800 nell'ambito cittadino avvennero numerose scoperte nel campo paleontologico legate proprio agli scavi in aree su cui sono sorte nuove strade ed interi quartieri; Ponte Mammolo, Monte delle Gioie, Sedia del Diavolo, Saccopastore sono nomi forse noti ai soli addetti ai lavori. Si tratta comunque di giacimenti totalmente scomparsi, obliterati dalla fitta edificazione.
Casal de' Pazzi resta l'unica testimonianza fruibile di questa antica campagna romana.


Notizie di carattere scientifico, che testimoniano dell'importanza del sito, sono ben descritte sulla pagina web del Museo. Particolarmente interessante questa "promiscuità" tra resti umani e resti animali di specie non più presenti nell'areale della nostra penisola.

"Il sito, situato sulla riva destra dell’Aniene, ad una quota di 32 m s.l.m., era caratterizzato da strati di ghiaie e sabbie piroclastiche (cioè originate rocce di origine vulcanica) in cui sono furono rinvenuti, con distribuzione non uniforme, industria litica e ossa fossiliLe ossa appartenevano soprattutto a grandi mammiferi (in particolare Elephas (Palaeoloxodon) antiquus, Hippopotamus amphibius, Bos primigenius, Cervus elaphus, Dicerorhinus sp.) e uccelli acquatici. Nel livello più basso, quasi sul fondo del bacino fluviale, fu rinvenuto un frammento di parietale umano.
Nell’ampio deposito furono asportati i riempimenti che riempivano l’alveo fino ad arrivare ad una delle rive del fiume. Una barriera naturale formata dal substrato di 'tufo litoide', roccia prodotta dal Vulcano Albano circa 360.000 anni fa, arrotondata poi dalle acque, aveva determinato un accumulo di resti faunistici di grandi dimensioni in un punto specifico del percorso fluviale, in particolare erano rimaste incastrate, tra le scogliere e i blocchi di tufo, zanne e ossa di Elephas. Nella parte più bassa del letto del fiume erano poi concentrati grandi blocchi trascinati dalla corrente, mentre le sponde erano più libere.
Lo spessore del deposito superava, al centro dell’alveo, oltre due metri e progressivamente diminuiva, fino a scomparire, in corrispondenza delle sponde. Di conseguenza, nelle aree marginali diminuiva anche la concentrazione di resti faunistici, in particolare quelli di grande taglia.
Sia per numero di ritrovamenti che per la loro dimensione, la specie animale che è diventata poi simbolo del sito, è l’Elephas (Palaeoloxodon) antiquus, rappresentato soprattutto dai resti di zanne (25 intere e una cinquantina frammentarie), ma anche da molari (60 interi, 120 frammentari), da frammenti di bacino e cranio e da ossa lunghe.
L’abbondante industria litica rinvenuta è quasi tutta ricavata da ciottoli di selce, sia proveniente dallo stesso deposito fluviale che da affioramenti lontani fino a 50 km dal sito.Sono rappresentati molti strumenti diversi, ma in maggioranza si tratta di strumenti tipici del Paleolitico medio, quali raschiatoi, denticolati, intaccature".
La visita, inferiore all'ora, è supportata da tecnologie multimediali e pannelli esplicativi che ricostruiscono l'antica geografia dei luoghi, anche con l'ausilio di filmati e simulazioni. All'esterno un giardino curato con specie presenti in epoca preistorica accoglie i visitatori mentre all'interno è allestita una mostra dei principali rinvenimenti, adiacente la struttura che ospita la musealizzazione di circa 400 metri quadri del giacimento originario 



A questo punto qualcuno si chiederà “E cosa c’entra un  museo paleontologico con la cucina?”Le  risposte sarebbero tante, ne scegliamo una perché nessuno, finora, aveva pensato di proporre una cena preistorica. Lo ha fatto il Museo di Casal de’ Pazzi, a conclusione  della cinque giorni di “Preistoria del cibo" L’alimentazione nella  preistoria e nella protostoria”, organizzati dall'Istituto Italiano di Preistoria e Protostoria nell'autunno scorso.
Tema principale  del convegno è stata l’alimentazione  umana “quando andavamo in giro coperti di pelli, quando costruivamo capanne su palafitte e inventavamo l’aratro, quando ci lanciavamo all'assalto con le spade di bronzo.”Tuttavia di proposte di cene a tema è  pieno il mondo del web e i temi sono i  più disparati, per i salutisti ci sono cene vegane, crudiste o vegetariane, per gli  archeologi e storici si va da quelle medievali, all'antica Roma o rinascimentali, poi quelle etniche con  cibi dei luoghi più disparati  dall'oriente all'occidente. Si è quindi trattato di un esperimento che ha visto fondersi  insieme, archeologia, geologia e cucina. Un pretesto per assaporare cibi arcaici per entrare  con la fantasia nelle usanze dei nostri  antenati.



Per una sera via Ciciliano (tipica strada della periferia romana, buia e poco frequentata, se non dai residenti), sede del museo, è stata illuminata  dal fuoco di un vero bivacco arcaico, che ha riempito l’aria di sapori ed odori sicuramente in parte  se non del tutto dimenticati.Lo staff del museo di Casal de’ Pazzi, aperto da meno di un anno, ha organizzato un evento diversificato: prima la visita accompagnata da filmati e  spiegazioni con giochi  multimediali e poi la cena pleistocenica, un vero salto nel tempo e nello spazio, quello di 200.000 anni fa, appunto, molto diverso da come noi moderni siamo abituati a vederlo.
Il menu della serata  prevedeva:


www.museocasaldepazzi.it
stinco di maiale cotto su pietra insalata di rucola, funghi e pera cartoccio di mandorle miele e frutti di bosco vere prelibatezze  pleistoceniche come ingredienti principali della cena preistorica. 
Unico ospite alieno, fuori tempo, il vino che ha comunque accompagnato i cibi. Sicuramente un’esperienza da ripetere nelle proprie  case e che ha  rappresentato  soprattutto un momento di apertura al territorio circostante che ha risposto positivamente all'iniziativa, a cui hanno aderito in  molti tra addetti ai lavori e cittadini che sono rimasti piacevolmente colpiti e che attendono un bis (anche noi lo attendiamo, avendolo perso). 



La scelta degli ingredienti è stata rigorosa, ad esempio, ovviamente, niente pomodori o melanzane  e solanacee  in genere  introdotte in Europa  dopo la scoperta dell’America.Inoltre i metodi di  preparazione  o cottura risentono della contaminazione con i giorni nostri. Si tratta quindi di una cena abbastanza raffinata e al tempo stesso facilmente riproducibile nelle proprie  cucine.Il menu di quella che è stata chiamata Pleistocena nasce dopo ricerche approfondite sulla alimentazione del Paleolitico, liberamente reinterpretata e adattata  al gusto odierno e  svolta attorno  a un focolare simile a quelli del passato.

Con l'occasione della visita è possibile anche ammirare il bellissimo dipinto dell'artista urbano Blu su un palazzo di sei piani in una via prossima al Museo, che racconta l'evoluzione/involuzione del nostro pianeta. Il murale è stato dipinto con il solo ausilio delle corde, senza impalcature 



-----------------------------------------
L’ingresso all'area pleistocenica di Casal de’ Pazzi è libero, previa prenotazione allo 060608. Il sito si aggiunge ai sette "piccoli musei" gratuiti che fanno parte del sistema dei Musei Civici romani: Museo Barracco, Villa di Massenzio, Museo delle Mura, Museo Bilotti, Museo Napoleonico e Museo Canonica a Villa Borghese, Museo della Repubblica Romana e della Memoria Garibaldina.

martedì 22 marzo 2016

Terremoti e riti di Pasqua (pane compreso).


Per un particolare sincronismo del calendario 2016, la settimana che precede la Pasqua è anche la prima della Primavera. Una concomitanza piuttosto singolare, se si pensa al valore figurativo della stagione e della ricorrenza cattolica, entrambe simbolo di rinascita e di luce dopo la privazione e la penitenza dell'Inverno e della Quaresima. Quest’anno, per via del plenilunio e del solstizio, la Pasqua è particolarmente “bassa” ed i quaranta giorni di Quaresima che la introducono hanno, di fatto, ridotto il periodo di Carnevale, rendendolo particolarmente breve.


Certamente non come quello che si festeggia a L'Aquila.
fonte Wikipedia
Nel capoluogo abruzzese, infatti, il Carnevale è considerato il più corto del Mondo. L'origine di questa tradizione, che fa partire i festeggiamenti ogni anno non prima del giorno della Candelora, risale al 2 febbraio 1703, quando la città fu testimone e vittima di quello che le fonti storiche riconoscono come il più grave terremoto dell'Appennino centrale. 
La scossa, la più forte di una sequenza sismica che interessò per oltre 5 mesi un settore molto esteso fra Umbria e Abruzzo, fu devastante: L'Aquila fu rasa praticamente al suolo e si contarono migliaia di vittime, circa i due terzi della popolazione. La magnitudo stimata fu 6.7 Richter e l'intensità (nota come "scala Mercalli") pari a X MCS; i morti nell'intera area di risentimento del sisma pare superassero i 20.000.
La città, per segnare in modo indelebile nella propria storia quelle giornate, mutò i colori del proprio stemma dall'antico bianco e rosso all'attuale nero e verde, simboli di lutto e di speranza. 
Questo terremoto viene erroneamente preso a riferimento per un presunto legame con quello del 2009, ma così non è. L'attenta ricostruzione dell'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (I.N.G.V) ci mostra come il sisma più recente sia stato attivato da un sistema di faglie completamente diverso, posto più a sud rispetto all'evento storico del 1703. Nella immagine che segue, presa proprio dal sito web dell'Istituto, si nota chiaramente  la distribuzione dei danneggiamenti superiori al VII MCS causati dai diversi eventi sismici.

Danni superiori a VII MCS terremoti del 14.01.1703 (rossi), del 02.02.1703 (gialli) e del 06.04.2009 (verdi) - da I.N.G.V.
Epicentri così vicini a Roma provocarono danni e panico nella città pontificia.
Crollarono tre archi del secondo anello del Colosseo ed il materiale, nella migliore tradizione, venne utilizzato per costruire i Porto di Ripetta. Numerosi edifici e chiese vennero lesionate, compresa la Basilica di San Pietro ed il Quirinale. 
Fortissima fu la connotazione del terremoto come strumento con cui, nella cultura popolare, si rivelava la volontà di Dio: l'allora Papa Clemente XI ne approfittò per stringere un po' i cordoni allentati dal periodo carnevalesco, ma fu talmente colpito dagli eventi da istituire una apposita commissione scientifica che studiasse la possibilità di prevedere i terremoti.
Per il resto, come ci ricorda l'interessante saggio di V. Castelli e R. Camassi dell'I.N.G.V., nelle aree più danneggiate gli interventi furono "mirati ad assicurare la salvezza di morti, moribondi e sopravvissuti", mentre nelle zone interessate dal risentimento macrosismico "si svilupparono riti di espiazione collettiva e di ringraziamento per lo scampato pericolo".
In un periodo pieno di ritualità come quello quaresimale, nacque e si diffuse in Italia centrale il culto di S. Emidio, vescovo di Ascoli Piceno considerato il protettore dai terremoti.

Oltre a Roma, molti centri limitrofi subirono dei danni, ma di questi non rimangono molte tracce fra i documenti. Tracce che invece si rivelano a ripercorrerne i centri storici, come quello di Sant'Angelo Romano, borgo fortificato di origine medievale che sorge sulla cima di uno dei Monti Cornicolani, in realtà modesti rilievi posti circa 30 km ad est della Capitale. Il gruppo collinare, ideale confine fra la bassa Sabina e la Campagna Romana è un punto privilegiato per l'osservazione dell'evoluzione geologica dell'intero margine che va dal Mar Tirreno all'Appennino. 
Sant'Angelo poggia su un affioramento imponente di Calcare Massiccio, una roccia carbonatica che risale a circa 200 milioni di anni fa, un "alto strutturale" che rimase un'isola emersa nel corso delle ingressioni del mare pliocenico.



Una passeggiata tra le costruzioni, all'interno dell'antica cinta muraria che circonda il Castello Cesi-Orsini, mostra segni sulle strutture e altrettanti interventi architettonici realizzati in funzione antisismica, che sono una testimonianza diretta dei risentimenti dei catastrofici eventi del 1703.


Architrave ribassata a seguito del sisma per il cedimento delle pareti laterali
Un'architettura di ripristino molto funzionale, fatta di speroni e contrafforti, di archetti di collegamento tra i manufatti, che irrigidivano gli spigoli, dove si erano concentrate le sollecitazioni più elevate e realizzata con materiali completamente diversi dalle rocce calcaree con le quali erano state realizzate le abitazioni fino ad allora.


Finestre murate per assicurare la continuità delle strutture



E qualche estemporanea sorpresa geologica, come il Rosso Ammonitico con un bell'esemplare sui gradini della Chiesa parrocchiale.



E' difficile ricostruire se gli eventi sismici settecenteschi abbiano o meno  influito sulla ritualità del periodo quaresimale anche in quest'area. Sta di fatto che molto del simbolismo di questo periodo si riscontra proprio nel cibo che si consuma in questa festività e nella sua preparazione.
A Sant'Angelo Romano è d'uso accompagnare la ricca colazione della domenica di Pasqua con la pizza varata, un "pane rituale" che fonda le radici nella cultura popolare e contadina di queste aree. La voce dialettale, che ha il significato letterale di "arata", è legata alla creazione, con le dita, di solchi sul disco impastato a ricordare quelli dell'aratro e, successivamente, con i rebbi di una forchetta, dei semi, sempre prima della cottura.
Il valore apotropaico, di rinnovamento e di augurio per la nuova stagione in uscita dal periodo quaresimale è perpetuato da secoli a cura delle famiglie santangelesi, che custodiscono gelosamente la ricetta della pizza, uno degli oggetti simbolici per eccellenza e prodotto unico nel panorama della nostra penisola.
Un forno locale permette a tutti di gustarne il particolare profilo organolettico e la indubbia bontà.


Gentilmente concessa dal Forno Alimentari Lucani Gianna
Nella lunga conservazione la pizza perde l'umidità iniziale che la rende particolarmente fragrante; tuttavia, ancora oggi, viene prodotta in quantità "importanti" per il consumo familiare, che si protrae inevitabilmente oltre la ricorrenza pasquale. La ricetta tradizionale prevede dosi significative, con i quali si realizzano oltre 20 pizze del diametro di circa 30 centimetri:

6 kg di farina
6 cubetti di lievito di birra
1 litro di olio EVO
1 litro di acqua
36 uova

La cottura prevede circa 30 minuti di passaggio in forno.



Un video illustra il procedimento di prepararazione di questa pizza e ci invita al consumo nel modo tradizionale farcita con uova sode e corallina, la tradizionale salamella romana, accompagnata da un buon calice di vino rosso.


Geologia e Cucina augura a tutti una Buona Pasqua.



martedì 1 marzo 2016

Fiumi di birra con l'acqua del Sindaco

La bellezza di un viaggio che dal mondo del Vino conduce a quello della Birra artigianale è che non si tratta di un percorso di sola andata. Anzi, il vero appassionato mantiene la doppia cittadinanza ed il piacere edonistico che risiede in entrambe le bevande, nel loro abbinamento ad un cibo o nella degustazione assoluta, quella che io definisco “l'abbinamento al cristallo”.
In questo viaggio tuttavia, una delle cose che mi ha inizialmente disorientato è stata l'apparente assenza di un legame tra la Birra ed il territorio, che costituisce invece uno degli assiomi portanti del rapporto tra vino e luoghi di origine.
Nella viticoltura infatti, le caratteristiche pedologiche, geologiche e climatiche di una regione influenzano fortemente il profilo organolettico della bevanda, al netto delle attività di cantina.
Per la Birra si deve tenere conto di fattori completamente diversi, ognuno dei quali possiede un numero significativo di variabili. Primi fra tutti gli ingredienti di base che sono ben quattro (acqua, malto, luppolo e lieviti), ma non secondaria è l'attività del Mastro Birraio, le cui scelte determinano la personalizzazione del prodotto finale e l’aderenza ad uno stile birrario di riferimento. Lo stile è quell'insieme delle caratteristiche organolettiche, di origine e di produzione, che permettono di classificare la Birra all'interno di una categoria ben riconoscibile: ne esistono alcuni molto comuni (chi non ha mai sentito parlare di Pils o Weiss), ma in una delle sue recenti pubblicazioni (2015) l'organizzazione internazionale di riferimento, il Beer Judge Certification Program, ne raccoglie da tutto il mondo un elenco di ben 93 pagine !

Per deformazione professionale, mi sono velocemente appassionato al tema della "territorializzazione" delle Birre scoprendo che, anche questa volta, la Geologia ha una grandissima parte di responsabilità nel rapporto tra la bevanda e la sua zona "storica" di origine. In questo caso il comune denominatore è sicuramente rappresentato dall'acqua, che non dimentichiamo costituisce il 90-95% della bevanda, e dalle sue caratteristiche geochimiche, che influenzano la qualità organolettica del prodotto e lo sviluppo di un stile in un'area del globo ben definita.
Tra quanto trovato in rete è stato possibile raccoglie alcune "Carte di Identità" delle acque di siti e di città che rappresentano il riferimento "assoluto" per la produzione di una determinata tipologia birraria, comprendendo tra queste anche alcuni Monasteri Trappisti (valori in ppm).

CITTA’
Pizen
Monaco
Dublino
Vienna
London
Chimay
Burton Upon Trent
Orval
West
Flanders
Dortmund
CITTA’
Ca2+
7
75
115
200
90
70
275
96
114
250

Mg2+
2
20
4
60
5
7
40
4
10
25

Na+
2
10
4
8
15
7
25
5
125
70

SO42-
5
10
55
125
40
21
450
25
145
280

HCO3-
15
200
200
120
125
216
260
287
370
550

Cl-
5
2
19
12
20
21
35
13
139
100

STILE
Pils
Munich
Bock
Stout Porter
Vienna
PorterStout
Trap
IPA
Trap
Sour
Dortmunder
STILE

Si tratta ovviamente di tabelle di riferimento, ma utili per alcune considerazioni, ben note agli Homebrewers ed agli appassionati.
Per le Birre in stile anglosassone, l'acqua estremamente dura con l'alta concentrazione di solfato e magnesio, come nella cittadina di Burton Upon Trent (considerata la patria dello stile) enfatizza il ruolo del luppolo, tipico delle English bitter e delle Pale.
Le acque leggere e dolci della ceca Plezn hanno conferito un carattere estremamente distinguibile alle chiare Pils.
A Londra, a Dublino e a Monaco l'alta concentrazione di bicarbonato è utile a bilanciare le proprietà acide dei malti scuri e tostati usati per Porter, Stout e Bock.
Per poter produrre una Birra aderente allo stile, si devono quindi effettuare delle vere e proprie correzioni e trattamenti di quanto si ha a disposizione. Per avere notizie sulla qualità, i gestori mettono a disposizione le analisi chimiche qualitative all'atto della immissione nella rete acquedottistica.


Roma, che fin da epoca antica viene alimentata da sorgenti, bere l'acqua del Sindaco è il modo gergale ed affettuoso di identificare l'acqua potabile che sgorga dai rubinetti casalinghi. La città mette a disposizione una fitta rete di punti di prelievo pubblici, i cosiddetti "nasoni", le fontanelle che distribuiscono acqua potabile e gratuita, così chiamati per la caratterista parte curva della canna in ferro.
Oggi sono oltre 2.500 e l'Acea, ex azienda municipalizzata, in occasione dei suoi 100 anni ha realizzato nel 2009 una mappa che consente di scovare i "nasoni" presenti nel centro storico della città. Con essa ha pubblicato una carta di identità dell'acqua distribuita e delle sue caratteristiche qualitative medie.


Roma e Fiumicino sono servite da 4 sistemi di approvvigionamento, emunti con continuità da:
– Sorgenti del Peschiera – Capore situate nell’Appennino Centrale nell’Alta e Media Sabina;
– Sorgenti dell’Acqua Marcia situate nella valle dell’Aniene, nella zona tra Subiaco ed Anticoli Corrado, con eventuale immissione della sorgente di Acquoria all’altezza di Tivoli;
– Fonti di approvvigionamento Appio Alessandrino, che comprende i pozzi di Finocchio, di Torre Angela e di Pantano Borghese, situati nella zona Est della Provincia di Roma;
– Sorgenti dell’acquedotto Nuovo Vergine, situate a Roma in Località Salone.

Attraverso questo sito, sempre ACEA permette di acquisire maggior dettaglio sulla  qualità delle acque in tutta l'Area Metropolitana di Roma Capitale, con una semplice ricerca su mappa, come quella qui sotto.



A disposizione di appassionati hombrewers un utile strumento per orientare la propria produzione casalinga che, anche questa volta, mette in stretta relazione le caratteristiche geologiche del nostro territorio con uno dei molteplici aspetti del mondo della cucina e della birra in particolare.



# Bibliografia essenziale
- IL TRATTAMENTO DELL'ACQUA NELLA PRODUZIONE DELLA BIRRA, 2014 da http://www.makebeer.it/trattamento_acqua/
- Beer Judge Certification Program "BEER STYLE GUIDELINES 2015"