martedì 23 febbraio 2016

Piantare una vite sul Granito ? Si può fare !

Ho partecipato molto spesso a corsi e convegni e tendo a dividere i Relatori in due grandi famiglie: i pragmatici, che chiudono la presentazione con una immagine ad effetto ed un perentorio "Grazie per l'Attenzione" ed i pavidi, che terminano il loro flusso multimediale con un interlocutorio "Ci sono Domande" ?
Nel mio primo corso di avvicinamento al Vino, in una sobria enoteca di provincia, il pavido "relatore-proprietario-factotum" concluse la lezione sulla vinificazione in bianco con il tradizionale campione in assaggio, ma anche con il fatidico punto interrogativo.
A quel punto, si spera che dalla sala nasca la domanda sull'argomento di cui si è capito poco o nulla, evitando la personale brutta figura. Ed anche quella sera, la fatidica domanda ci fu.
"Scusa, senti (il Lei era impossibile dopo il primo sorso), ma se dici che il vino minerale dipende dal terreno e quindi il Vermentino è minerale in Sardegna perché le uve crescono sui Graniti, ma come se pianta una vite sur granito ?".
La risposta, risparmio la traduzione dal comprensibile romanesco, fu un po' vaga (si parlava di antiche spiagge) e l'interlocutore annuì con soddisfazione. Io, nella cortesia di non interrompere la mescita, imposi al mio spirito di geologo un silenzio etilico.
Facciamo un po' di chiarezza.
Granito levigato
Comunemente si associa al nome Granito una pietra da taglio ornamentale che abbia una struttura "olocristallina", cioè a grani (il nome deriva dal latino granum).
E' una grande semplificazione commerciale, un po' come accade per il marmo (ne parleremo prossimamente): qualsiasi roccia da taglio a grani visibili ed omogenei, che adorna piani di cucina, scale, rivestimenti vari, viene il più delle volte denominata in questo modo.
E' sicuramente più tranquillizzante calpestare  un Granito dell'Adamello (quello sale e pepe, per rimanere in tema) piuttosto che una "quarzodiorite a biotite ed orneblenda a grana media, tendenzialmente equigranulare, a struttura cristallina ipidiomorfa".


Se il Marmo teme le sostanze acide (mai pulire con anticalcare, please) il Granito teme olio e unto, che tende ad assorbire (asciugare v-e-l-o-c-e-m-e-n-t-e il piano della cucina imbrattato).

Dal punto di vista petrografico stiamo parlando di una litologia ben precisa. Si tratta di una roccia ignea (formata per solidificazione dei magmi), intrusiva (all'interno della crosta terrestre), felsica (colore chiaro, con prevalenza di feldspati e silice) e sovrasatura (con contenuto in quarzo tra il 20 e il 60 %).
In generale si presenta sulla superficie terrestre in enormi corpi rocciosi, che sono chiamati batoliti e derivano dal raffreddamento di giganteschi serbatoi di materiale eruttivo. Pur trovandosi comunemente in Calabria e nelle Alpi, una delle più immediate associazioni regionali è quella tra il Granito e la Sardegna.
Appunti universitari
Per noi studenti geologi formati in Italia centrale, quest'isola è sempre stata un oggetto "ostico": età antichissime, atlante pressoché completo di rocce. tettonica di complessità fenomenale.
L'immagine di lato, scansionata tra gli appunti universitari (senza fonte, me ne scuserà l'autore) "renderà tutti persuasi" (cit.) che il nostro percorso sempre in bilico tra arte e scienza sintetizza l'assioma della nostra esperienza formativa.
Abbiamo infatti imparato che una grande rotazione (la "deriva miocenica"), con perno vicino a Genova, ha:
-orientato Nord Sud Sardegna e Corsica,
-incastrato la Calabria e i Peloritani,
-piazzato la Sicilia in mezzo al Tirreno.

Niente male direi.


Il compendio recente sulla Geologia della Sardegna è di qualche anno fa: tre tomi di Memorie descrittive della Carta Geologica d'Italia volume LX (op.cit.) che riorganizzano sistematicamente lo stato dell'arte e le teorie sulla genesi e l'evoluzione di questa Isola.
Schema geologico della Sardegna (a cura di L.Carmignani, op.cit)
Proprio con una immagine tratta dal primo dei volumi torniamo in tema. Le rocce "granitoidi" sono quelle in colore arancio e costituiscono parte sostanziale del basamento più antico, di età ercinica (parliamo di oltre 550 milioni di anni fa).
Si tratta di rocce compatte e dalla elevata resistenza, che proprio per le loro caratteristiche litologiche e di formazione possono essere soggette ad intensi fenomeni di degradazione, specie per l'azione esterna degli agenti atmosferici e la presenza di un fitto reticolo di fratture.
Forme di erosione sui Graniti di Capo Testa
Queste qualità favoriscono un fenomeno che viene definito "arenizzazione", la disgregazione cioè della roccia nelle componenti fondamentali: il risultato è la formazione di potenti spessori di sabbie, su cui si sviluppano i suoli adatti alla coltivazione. 
I graniti, oltre l'azione incessante del vento ricco di particelle quarzose che erodono come carta abrasiva, subiscono altri fenomeni, alcuni dei quali molto curiosi.
Il rilascio di pressione è legato al fatto che vengono sottoposti ad enormi pressioni all'interno della Terra e, venendo alla luce, subiscono una "espansione" repentina della parte superficiale, che frattura la roccia "a buccia di cipolla". L'argillificazione dei feldspati invece è causata dall'acqua, resa leggermente acidula, che manda in soluzione silice e potassio, costringendo il minerale a "ristrutturare" il proprio reticolo cristallino fino a trasformarsi in un minerale argilloso, che si rigonfia e frattura la roccia stessa.

Ecco svelato l'arcano: piantare una vite sul Granito si può, perché le caratteristiche litologiche e climatiche del territorio generano una sostanziale alterazione superficiale della roccia madre tenace e favoriscono la formazione di un suolo. Queste coltri, a granulometria sabbiosa, si accumulano in conche e depressioni fra le rocce e vengono "ringiovaniti" dal continuo apporto di sabbia.
Nella Gallura, che rappresenta ottimamente queste condizioni pedoclimatiche, si è sviluppata la coltivazione di una varietà a bacca bianca conosciuta per la sua scarsa fertilità basale, la capacità cioè del vitigno di differenziare a fiore le gemme presenti nella porzione inferiore del tralcio e produrre grappoli nell’anno successivo.
Vigneto in Gallura
Il Vermentino viene ora condotto con sesti di impianto adatti alla meccanizzazione, superando quello che era il tipico vigneto gallurese, ad alberello con 3 o 4 branche ed il sostegno di tutori morti (pali in legno o canne).

Gli esiti di una ricerca recente effettuata dalla Con.Vi.Sar. nell'ambito di un interessante progetto scientifico triennale (SQFVS) che ha coinvolto l'Università di Sassari, 50 ricercatori e oltre 100 ettari di vigneti aziendali, hanno confermato come il Vermentino sia caratterizzato da una precocissima attività, sia per quello che riguarda la fenologia (fasi di germogliamento, fioritura e invaiatura) che la maturazione (corretto rapporto fra zuccheri e acidità), il che consente la raccolta delle uve già da fine agosto/primi di settembre  ("Modelli vinicoli e gestione del vigneto in Sardegna", op.cit.).

In un soggiorno, in particolare nel nord dell'isola, la visita alle cantine resta uno degli appuntamenti irrinunciabili di una escursione, come ci documenta Daniela nelle foto qui di seguito, scattate in uno dei suoi più recenti viaggi.
Vigneti di nuovo impianto in Gallura

I vini da uve Vermentino, sia nella D.O.C. Sardegna che nella espressione della D.O.C.G. Gallura, possono essere molto emozionanti per il loro delicato corredo olfattivo, la mineralità ed i richiami finali di mandorla. Alcune tipologie scontano ancora il successo commerciale degli ultimi anni '80, che ha imposto all'esigenza di mercato una trasformazione delle pratiche vinicole ed enoiche originarie.
Vigneti di Gallura
I produttori più lungimiranti oggi propongono una drastica riduzione delle rese (da disciplinare per la D.O.C. fino a 200 quintali per ettaro), interpretando il vitigno in termini qualitativi.
Quasi ogni anno gli amici della Enoteca Pirodda mi svelano nuove etichette, facendomi degustare anche bottiglie dei millesimi precedenti che, specie per alcuni tipologie, non sempre dimostrano grande longevità, spesso perdendo in freschezza e struttura il paragone con le annate più recenti in commercio. 



# Bibliografia essenziale
- Servizio Geologico Nazionale "GEOLOGIA DELLA SARDEGNA" a cura di L. Carmignani. Memorie descrittive della Carta Geologica d'Italia volume LX, I.P.Z.S. 2001.
- Con.Vi.Sar "MODELLI VINICOLI E GESTIONE DEL VIGNETO IN SARDEGNA" a cura di G.Nieddu, 2012.

martedì 16 febbraio 2016

Lungo il corso del Tevere (prima parte): Vecchie Fornaci ed Antichi Forni.

Inauguriamo su Geologia e Cucina® una serie di post dedicati al Fiume Tevere, antica culla di civiltà.

Non possiamo immaginare il Tevere senza considerare il legame fra l’antico Flumen Albula e la città di Roma.  
Eppure verso nord, solo poco oltre Grande Raccordo Anulare, il paesaggio perde la fitta urbanizzazione e la presenza umana quasi si annulla, a sancire un distacco antropologico con il corso d’acqua. Le comunità hanno infatti privilegiato l’insediamento sulle colline circostanti, relegando al fiume un contesto marginale ed alla piana una destinazione per lo più agricola. 
Il Tevere accoglie il tributo mancino dall’Aniene all’altezza della via Salaria, dopo un percorso tutto appenninico, il terzo per lunghezza in Italia, tormentato e frequentemente interrotto da dighe ed invasi artificiali, che regolano i deflussi e ne governano le piene.
Per buona parte del suo corso percorre una ampia valle che, da punto di vista geologico, corrisponde ad un “graben” ovvero una depressione ribassata da fratture che ne segnano i bordi in modo quasi lineare. 
Il “graben del Paglia-Tevere" è orientato in direzione appenninica (da NW verso SE) e deve la sua origine alla distensione del bordo tirrenico, successivo al sollevamento della catena montuosa. dal tardo Pliocene inferiore,
Mappa schematica del Graben Paglia Tevere: a sinistra il PaleoTevere (da Mancini et alii. cit.)

L’antico corso del fiume, il “Paleo-Tevere”, solcava la pianura in una posizione completamente diversa da quella attuale, prima che gli sbarramenti e le deviazioni provocate dalle colate piroclastiche del Vulcano Sabatino e dei Colli Albani ne deviassero il percorso:  fino a circa 600 mila anni fa, il Lungotevere si sarebbe percorso molto più ad Ovest. La mappa qui proposta è una rappresentazione schematica della antica geomorfologia del corso tiberino.

Oggi, per lunghi tratti, la piana del Tevere è un vero e proprio “corridoio” di ferrovie, strade ed autostrade che, favorite dalla morfologia, incidono a più riprese i terrazzi fluviali formati dall’incessante azione di deposito e scavo del corso d’acqua .
Monterotondo, con i suo 40.000 abitanti a soli 25 km da Roma, è connesso sinergicamente alla via Salaria, alla linea ferroviaria ed all’Autostrada A1. Seppure la cittadina sia insediata storicamente sulle colline prospicienti il Tevere, deve una grossa parte dello sviluppo urbanistico del secolo scorso proprio alla geologia della piana tiberina.
Il Tevere nei pressi di Monterotondo in sponda sinistra (@Geologia e Cucina)
Una disponibilità significativa di argilla come materia prima, connessa ad ampi spazi per collocare gli impianti a ridosso dei siti estrattivi oltre che collegamenti accessibili a strade e ferrovie, furono le condizioni per la nascita di un estesi insediamenti industriali legati al comparto dei laterizi. 
Via delle Fornaci (@Geologia e Cucina)
Sorsero ovunque cave, impianti e fornaci: la stessa toponomastica che si legge ancora oggi, deriva dalla presenza di un grande polo produttivo, a ridosso della ferrovia storica Roma-Firenze ed al confine con il comune di Roma.  
La crescita fu rapidissima ed ebbe il massimo sviluppo nel dopoguerra con il boom del mattone romano. A partire dalla crisi petrolifera degli anni’70 impianti e cave ridussero le attività fino a fermare la produzione in modo definitivo. Alcuni impianti continuano la loro produzione e la coltivazione all'interno delle argille grigie e giallastre, più sabbiose, che formano le colline e che, come accertato dagli studi geologici condotti in passato, costituiscono una importante testimonianza del passaggio tra Pliocene e Pleistocene nella Valle del Tevere (Carboni, Conti - 1977). 
Fronti di cava attiva (@Geologia e Cucina)

La storia di oggi è quella che si presenta ai nostri occhi di visitatori: aree ancora produttive si alternano a siti totalmente dismessi, con impianti in rapido degrado. La bassa permeabilità delle formazioni coltivate ha determinato un progressivo colmamento delle cave in disuso, riempite da effimeri laghetti o peggio da materiali di incerta provenienza. 
In due vecchie cave, utilizzate già in epoca antecedente alla seconda guerra mondiale dalla società Lateritalia, alcune condizioni sito specifiche hanno permesso la formazione di “laghetti rigogliosi di vita e di biodiversità”, come ci raccontano gli attivisti dell’Associazione XNatura sul loro sito.  Anche oggi, nel  corso del sopralluogo effettuato a gennaio, oltre la torre dell’antico stabilimento di mattoni, si possono osservare numerose specie di uccelli ed un ambiente ricco di vegetazione, seppure turbato da alcuni esempi di inciviltà come l’abbandono incontrollato dei rifiuti. 
Avifauna nei Laghetti dello Scalo ed antico stabilimento Lateritalia (@Geologia e Cucina)
La battaglia condotta per la tutela di questa area umida ha portato nell’ottobre del 2013 il Consiglio Comunale di Monterotondo a deliberare la richiesta di tutela e la valorizzazione dell’ “area naturalistica dei laghetti di Monterotondo Scalo” ai sensi della direttiva Habitat.

Non è una coincidenza che proprio di fronte ai 10 ettari della Vecchia Fornace Mariani, nei pressi della Stazione ferroviaria di Monterotondo, sorga uno dei più Antichi Forni tradizionali della città eretina: il Forno Alimentari Cavalli 1882. Al titolare (sotto in foto) parliamo del nostro progetto, che vuole raccontare un territorio attraverso il rapporto, anche insolito, tra la Geologia e la Cucina. 
Forno Cavalli anni '50 - dal sito.
"La zona dello Scalo" così viene definito l'insediamento nei pressi della stazione "è stata da sempre terra di emigrazione, di manodopera specializzata che veniva a lavorare alle Fornaci. Persone che sono passate per la nostra bottega di generazione in generazione. Agli operai della Fornace Mariani, qui di fronte, mio padre passava agli operai in turno i panini attraverso i cancelli.
Il nostro Forno (ci mostra la foto "storica di famiglia" qui ripresa) è stato completamente ricostruito dopo il bombardamento di Monterotondo del 1943. Era un classico Emporio adatto ad una piccola cittadina, mentre oggi siamo passati ad una maggiore ricerca della qualità da proporre. Il mio interesse è scovare i produttori che esaltano il rapporto qualitativo della loro materia prima con la lavorazione artigianale.
Per i salumi, il terreno di caccia è la Toscana, l'alto reatino e le vicine Marche. Giudico alcuni prodotti inarrivabili".
Peppe Cavalli (@Geologia e Cucina)
Il negozio, a dire il vero, sembra un luogo fuori dal tempo. Insegne e scaffalature che sanno di antico, affilatissime Berkel a volano, ovunque i segni della tradizione. Nel retro bottega, il Forno.
"Produciamo tutte le tipologie di pane e alcuni dolci della tradizione locale, con grande attenzione alla scelta ed all'utilizzo di farine selezionate, come quelle macinate a pietra da una vicina azienda agricola di Capena. Molte persone non comprendono come siano le farine a determinare la qualità della lievitazione, ad un costo di pochi centesimi superiore rispetto ai prodotti comuni della grande distribuzione".
Una attenta selezione è dedicata anche ai vini ed alle birre artigianali. 
- Hai qualche aneddoto legato al territorio ed in particolare al Tevere? chiediamo. "Ho una immagine in una foto durante una delle frequenti alluvioni del dopoguerra, con una serie di barche parcheggiate in fila lungo la ferrovia di persone che venivano a fare la spesa in negozio. Se la trovo ve la invio".
E per noi sarà un piacere pubblicarla.



Le Fornaci dismesse che costellano la via Salaria sono splendidi esempi di archeologia industriale, in attesa di riqualificazione e valorizzazione. Si tratta di un patrimonio di immenso valore sociale. Se siete in transito sulla Via Salaria armatevi di macchina fotografica e di un buon teleobiettivo per qualche scatto geo-naturalistico e post industriale, senza mancare una sosta gastronomica ed inviateci le vostre emozioni.

# Bibliografia essenziale.

-Mancini, Girotti, Cavinato "IL PLIOCENE E IL QUATERNARIO DELLA MEDIA VALLE DEL TEVERE (APPENNINO CENTRALE)" Geologica Romana 37 (2003-2004), 175-236
-Carboni, Conti "LE ASSOCIAZIONI FAUNISTICHE TARDO CENOZOICHE DI VALLE RICCA (MONTEROTONDO, ROMA) E LE LORO IMPLICAZIONI BIOSTRATIGRAFICHE" Geologica Romana 16 (1977), 1-19

lunedì 15 febbraio 2016

Finalmente, si parte !


Trovare un legame tra la Geologia e la Cucina, per i molteplici aspetti che caratterizzano queste discipline, può risultare addirittura banale. Quante volte si associa un luogo ad un piatto, una regione ad una tipicità, un suolo ad un vino. 

Eppure non sempre si pensa che questi legami possono risultare, a volte, sorprendenti: legami fatti di luoghi e di tradizioni, di prodotti e di persone, ma anche di storie e di leggende. La Cucina e la Geologia sono sempre in bilico tra Scienza ed Arte e trovano il loro compromesso nel vincolo indissolubile che le lega, in modo inconfondibile, ad un territorio. 


Pane e Martello ci sembrava il giusto sottotitolo: due "strumenti" semplici, efficaci, ma indispensabili nei due rispettivi campi. 

Il nostro auspicio è quello di trasmettere, attraverso il racconto di un territorio, l'idea comune, nata come incontro di esperienze, professione e passioni, insieme agli amici che vorranno partecipare al nostro percorso. 

Il nostro primo grazie va a Chiara Silvestri personal chef, per averci ispirato la stratigrafia di copertina. 

Daniela e Vittorio