martedì 29 marzo 2016

Jack e la cucina (parte I).Ovvero di come il polacco sia diventato delfino di jack cucinando arrosticini

http://www.geoitaliani.it/2013/10/giovanni-pallini-detto-jack-un.html
Giovanni "Jack" Pallini
Oggi pubblichiamo con doppia emozione il primo contributo di un collega e amico geologo, Andrea Di Cencio. Siamo particolarmente contenti di iniziare una collaborazione, che speriamo invogli anche altri a dare un contributo, con un ricordo di Jack, Giovanni Pallini.
Jack per chi ha studiato alla  Sapienza di Roma o alla G.D'Annunzio di Chieti è stato  qualcosa di più un insegnante, lui sapeva unire studio e divertimento, lavoro e goliardia. Ma soprattutto sapeva tirare fuori il meglio dagli studenti, a volte con modi molto diretti ma sempre efficaci. A Jack piaceva condividere i piaceri della tavola con gli studenti. E gli studenti lo amavano  anche per questo.

Jack e la cucina (parte I)
ovvero di come il polacco sia diventato delfino di jack cucinando arrosticini
Era la prima escursione del primo anno di geologia, era il week end dell' 8 e del 9 Novembre 1996. Partiti tutti belli entusiasti, tre auto se non ricordo male, direzione montagne della provincia di Pesaro Urbino. 

Lì ci aspetta il Prof. Pallini, ancora non lo conoscevamo come Jack. Il prof. ci aveva fatto da poco l'introduzione alla Facoltà e alla vita di Geologia, ci aveva divisi in gruppi e noi eravamo il primo a raggiungerlo per le "lezioni sul terreno", escursioni informali prima del corso. Andammo attrezzati alla bisogna per la sopravvivenza abruzzese ad una due giorni fuori: arrosticini e vino.
Io avevo a casa un po' del vino del mio bisnonno, vino cotto fatto in casa che per la maggior parte era diventato marsala. Era un vino che aveva 36 anni quando sono nato e quindi il giorno dell'escursione aveva superato abbondantemente la cinquantina e viaggiava orgoglioso verso la sessantina. Ne avevamo così tanto a casa che mia madre l'usava per cucinare.

Mia madre usava un marsala di 60 anni per cucinare, ma su questo si possono aprire altre discussioni.

Ovviamente era un vino fatto in casa, conservato in maniera magari non consona e quindi è probabile che fosse "grasso che cola" che fosse diventato per la maggior parte marsala, tant'è che nella bottiglia a caso che presi dal garage beccai proprio l'unica non maturata ma andata a male: che figuraccia!!!

Ma tutto andò bene perché Jack ci fece assaggiare, a cena, la sua grappa cinese e salvammo la serata.

Gli arrosticini erano per la sera, ma stranamente sono avanzati, oppure effettivamente avevamo esagerato, ma era nella normalità delle cose presentarsi dappertutto arrosticino-muniti!!!

Avanzarono e il giorno dopo ce li portammo dietro durante la seconda giornata di escursione. Andammo al Furlo, nella cava che oggi è il centro dell'area protetta omonima, e ci mettemmo a razzolare alla ricerca di ammoniti.
Cava del Furlo (Pesaro - Urbino)
Ci mettemmo è una parola grossa, o quanto meno non lo facemmo tutti, io coadiuvato da alcuni amici nella ricerca della legna, mi sono messo a cucinare gli arrosticini avanzati, in una cucina organizzata di fortuna.

Io cucinavo, gli altri cercavano i fossili e Jack ci guardava estasiato, un gruppo completamente autonomo.
 
Ed è stato quel giorno che Jack decise, me lo confessò qualche anno dopo, che ero il miglior candidato per un possibile studente in tesi. E lo ero perché non avevo solo la "tigna" per le ammoniti, non volevo solo cercare fossili, in altri termini, ma avevo capacità organizzative e risolutive nell'organizzazione logistica della cucina.
Giovanni "Jack" Pallini e Andrea Di Cencio
Chi conosce Jack sa quale fosse la sua passione per la cucina, la buona cucina e la cucina di terreno, ma da professionista quale era sottolineò come l'organizzazione logistica fosse un'attitudine più importante della capacità di cercare fossili.
Cava - Passo del Furlo (Pesaro - Urbino)
Da quella escursione io riportai una sola ammonite, Lytoceras sepositumsecondo Jack, io ritengo fosse Lytoceras cereris (più ovale di quella proposta dal prof.), per altro non proveniente dal Furlo. Ma riportai un'amicizia infinita, una proposta di lavoro, un futuro di paleontologo, l'amore per la vita che ancora conduco e Jack è sempre presente.
Furloceras erbaense (Hauer, 1856)

Giovanni Pallini (Jack) di Massimo Santantonio (da  Treccani

Jack Pallini di Andrea Di Cencio (da Geologia e  Paleontologia)

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Andrea Di Cencio - Iscritto a geologia perché "fico ci portano in montagna!" si è trovato in pochi anni e ancora studente a lavorare su tutti i massicci appenninici, alpini e siciliani come paleontologo e biostratigrafo (ossia datando le rocce in base al solo contenuto in fossili). Si laurea in paleontologia e consegue anche un dottorato di ricerca in biostratigrafia presso l'università "G. D'Annunzio" di Chieti, studiando dettagliatamente le rocce affioranti sull'Appennino centrale. Per natura curioso, approccia anche le altre tematiche della geologia, dalla vulcanologia, alla geologia strutturale, alla geologia tecnica, alla geomorfologia. Inoltre, ha una forte esperienza da divulgatore lavorando nell'allestimento e nella gestione di musei e mostre di storia naturale (paleontologici, naturalistici, geologici,), nella gestione di visite guidate soprattutto sul terreno, realizzando corsi scolastici e accademici. Partecipa come relatore a numerosi congressi italiani e stranieri sviluppando le tematiche della paleontologia e ultimamente del geoturismo. Entusiasta conoscitore dei massicci montuosi dell'Appennino centrale, della Majella e del Gran Sasso, in Abruzzo, sua terra d'origine, si è trovato a vivere il trekking un po' dappertutto in Italia, in Lussemburgo e in Islanda. E' interessato alle mitologie nate per spiegare gli eventi e gli aspetti geologici. [preso da www.kailas.it]

[foto Adele Garzarella]




martedì 22 marzo 2016

Terremoti e riti di Pasqua (pane compreso).


Per un particolare sincronismo del calendario 2016, la settimana che precede la Pasqua è anche la prima della Primavera. Una concomitanza piuttosto singolare, se si pensa al valore figurativo della stagione e della ricorrenza cattolica, entrambe simbolo di rinascita e di luce dopo la privazione e la penitenza dell'Inverno e della Quaresima. Quest’anno, per via del plenilunio e del solstizio, la Pasqua è particolarmente “bassa” ed i quaranta giorni di Quaresima che la introducono hanno, di fatto, ridotto il periodo di Carnevale, rendendolo particolarmente breve.


Certamente non come quello che si festeggia a L'Aquila.
fonte Wikipedia
Nel capoluogo abruzzese, infatti, il Carnevale è considerato il più corto del Mondo. L'origine di questa tradizione, che fa partire i festeggiamenti ogni anno non prima del giorno della Candelora, risale al 2 febbraio 1703, quando la città fu testimone e vittima di quello che le fonti storiche riconoscono come il più grave terremoto dell'Appennino centrale. 
La scossa, la più forte di una sequenza sismica che interessò per oltre 5 mesi un settore molto esteso fra Umbria e Abruzzo, fu devastante: L'Aquila fu rasa praticamente al suolo e si contarono migliaia di vittime, circa i due terzi della popolazione. La magnitudo stimata fu 6.7 Richter e l'intensità (nota come "scala Mercalli") pari a X MCS; i morti nell'intera area di risentimento del sisma pare superassero i 20.000.
La città, per segnare in modo indelebile nella propria storia quelle giornate, mutò i colori del proprio stemma dall'antico bianco e rosso all'attuale nero e verde, simboli di lutto e di speranza. 
Questo terremoto viene erroneamente preso a riferimento per un presunto legame con quello del 2009, ma così non è. L'attenta ricostruzione dell'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (I.N.G.V) ci mostra come il sisma più recente sia stato attivato da un sistema di faglie completamente diverso, posto più a sud rispetto all'evento storico del 1703. Nella immagine che segue, presa proprio dal sito web dell'Istituto, si nota chiaramente  la distribuzione dei danneggiamenti superiori al VII MCS causati dai diversi eventi sismici.

Danni superiori a VII MCS terremoti del 14.01.1703 (rossi), del 02.02.1703 (gialli) e del 06.04.2009 (verdi) - da I.N.G.V.
Epicentri così vicini a Roma provocarono danni e panico nella città pontificia.
Crollarono tre archi del secondo anello del Colosseo ed il materiale, nella migliore tradizione, venne utilizzato per costruire i Porto di Ripetta. Numerosi edifici e chiese vennero lesionate, compresa la Basilica di San Pietro ed il Quirinale. 
Fortissima fu la connotazione del terremoto come strumento con cui, nella cultura popolare, si rivelava la volontà di Dio: l'allora Papa Clemente XI ne approfittò per stringere un po' i cordoni allentati dal periodo carnevalesco, ma fu talmente colpito dagli eventi da istituire una apposita commissione scientifica che studiasse la possibilità di prevedere i terremoti.
Per il resto, come ci ricorda l'interessante saggio di V. Castelli e R. Camassi dell'I.N.G.V., nelle aree più danneggiate gli interventi furono "mirati ad assicurare la salvezza di morti, moribondi e sopravvissuti", mentre nelle zone interessate dal risentimento macrosismico "si svilupparono riti di espiazione collettiva e di ringraziamento per lo scampato pericolo".
In un periodo pieno di ritualità come quello quaresimale, nacque e si diffuse in Italia centrale il culto di S. Emidio, vescovo di Ascoli Piceno considerato il protettore dai terremoti.

Oltre a Roma, molti centri limitrofi subirono dei danni, ma di questi non rimangono molte tracce fra i documenti. Tracce che invece si rivelano a ripercorrerne i centri storici, come quello di Sant'Angelo Romano, borgo fortificato di origine medievale che sorge sulla cima di uno dei Monti Cornicolani, in realtà modesti rilievi posti circa 30 km ad est della Capitale. Il gruppo collinare, ideale confine fra la bassa Sabina e la Campagna Romana è un punto privilegiato per l'osservazione dell'evoluzione geologica dell'intero margine che va dal Mar Tirreno all'Appennino. 
Sant'Angelo poggia su un affioramento imponente di Calcare Massiccio, una roccia carbonatica che risale a circa 200 milioni di anni fa, un "alto strutturale" che rimase un'isola emersa nel corso delle ingressioni del mare pliocenico.



Una passeggiata tra le costruzioni, all'interno dell'antica cinta muraria che circonda il Castello Cesi-Orsini, mostra segni sulle strutture e altrettanti interventi architettonici realizzati in funzione antisismica, che sono una testimonianza diretta dei risentimenti dei catastrofici eventi del 1703.


Architrave ribassata a seguito del sisma per il cedimento delle pareti laterali
Un'architettura di ripristino molto funzionale, fatta di speroni e contrafforti, di archetti di collegamento tra i manufatti, che irrigidivano gli spigoli, dove si erano concentrate le sollecitazioni più elevate e realizzata con materiali completamente diversi dalle rocce calcaree con le quali erano state realizzate le abitazioni fino ad allora.


Finestre murate per assicurare la continuità delle strutture



E qualche estemporanea sorpresa geologica, come il Rosso Ammonitico con un bell'esemplare sui gradini della Chiesa parrocchiale.



E' difficile ricostruire se gli eventi sismici settecenteschi abbiano o meno  influito sulla ritualità del periodo quaresimale anche in quest'area. Sta di fatto che molto del simbolismo di questo periodo si riscontra proprio nel cibo che si consuma in questa festività e nella sua preparazione.
A Sant'Angelo Romano è d'uso accompagnare la ricca colazione della domenica di Pasqua con la pizza varata, un "pane rituale" che fonda le radici nella cultura popolare e contadina di queste aree. La voce dialettale, che ha il significato letterale di "arata", è legata alla creazione, con le dita, di solchi sul disco impastato a ricordare quelli dell'aratro e, successivamente, con i rebbi di una forchetta, dei semi, sempre prima della cottura.
Il valore apotropaico, di rinnovamento e di augurio per la nuova stagione in uscita dal periodo quaresimale è perpetuato da secoli a cura delle famiglie santangelesi, che custodiscono gelosamente la ricetta della pizza, uno degli oggetti simbolici per eccellenza e prodotto unico nel panorama della nostra penisola.
Un forno locale permette a tutti di gustarne il particolare profilo organolettico e la indubbia bontà.


Gentilmente concessa dal Forno Alimentari Lucani Gianna
Nella lunga conservazione la pizza perde l'umidità iniziale che la rende particolarmente fragrante; tuttavia, ancora oggi, viene prodotta in quantità "importanti" per il consumo familiare, che si protrae inevitabilmente oltre la ricorrenza pasquale. La ricetta tradizionale prevede dosi significative, con i quali si realizzano oltre 20 pizze del diametro di circa 30 centimetri:

6 kg di farina
6 cubetti di lievito di birra
1 litro di olio EVO
1 litro di acqua
36 uova

La cottura prevede circa 30 minuti di passaggio in forno.



Un video illustra il procedimento di prepararazione di questa pizza e ci invita al consumo nel modo tradizionale farcita con uova sode e corallina, la tradizionale salamella romana, accompagnata da un buon calice di vino rosso.


Geologia e Cucina augura a tutti una Buona Pasqua.



martedì 15 marzo 2016

Lungo le vie del sale.


Da professionisti, appassionati o da semplici curiosi è sempre utile consultare, con una certa periodicità, il sito del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali. Tra i compiti istituzionali, il Ministero si occupa dell’aggiornamento degli elenchi dei prodotti iscritti nei Registri delle Denominazioni di Origine Protetta (DOP), Indicazione Geografica Tipica (IGT) e delle Specialità Tradizionali Garantite (SGT), che certificano la nostra qualità agroalimentare a livello europeo. A questi si affianca l’enorme patrimonio dei quasi 5000 Prodotti Agroalimentari Tradizionali che fanno dell’Italia una eccellenza a livello mondiale.
L’aggiornamento del primo dei due elenchi è stato pubblicato giusto pochi giorni fa (il 9 marzo) e gli oltre 300 prodotti certificati dimostrano, sempre di più, come la ricchezza di questo settore, da Nord a Sud isole comprese, sia quasi paragonabile alla biodiversità che offre la nostra Penisola. Una ricchezza fortemente radicata nei legami che questi prodotti hanno con il territorio di origine ed, inevitabilmente, con le caratteristiche pedoclimatiche e geomorfologiche che lo rappresentano.
Scorrendo il Registro, tra le tantissime curiosità, l’occhio si è fermato alla fine della gustosissima sequenza dei salumi al numero 234, dove compare un inatteso patrimonio nazionale: il Sale Marino di Trapani, dichiarato alla fine del 2012 prodotto ad Indicazione Geografica Tipica.
Il sale trapanese, che per primo ha raggiunto questo ambito traguardo, possiede caratteristiche di estrema purezza (qui il disciplinare), ma è in buona compagnia nell’elenco dei Prodotti Tradizionali: come non ricordare quello che proviene dalle saline pugliesi di Margherita di Savoia, le più grandi in Europa, da Cervia o da quelle di Cagliari. Si tratta di impianti che utilizzano le tecniche di evaporazione dell’acqua marina, in aree dove la concentrazione dei sali raggiunge livelli che ne permettono la raccolta, in genere oltre i 300 mg per litro di acqua.
Il sale, storicamente, ha sempre avuto un ruolo strategico ed è stato anche oggetto di un forte contrabbando, per il suo valore commerciale intrinseco legato innanzitutto ai costi notevoli del trasporto: valore testimoniato anche nel nostro vocabolario dalla parola “salario”, inteso come mezzo di pagamento, o dalla stessa Via Salaria, antico crocevia di traffico e commercio della preziosa sostanza.
Oggi l’uso del sale è principalmente di tipo industriale, per la sicurezza stradale, la zootecnia, gli impianti di addolcimento acque, concerie, fonderie, aziende tessili e chimiche.
In cucina l’offerta si sta arricchendo di sali provenienti da molte parti del mondo, per lo più colorati da impurezze (rosa dell'Himalaya, grigio bretone, rosso hawaiano, affumicato norvegese, blu iraniano e via dicendo), per i quali la valutazione qualitativa è condizionata da aspetti quasi modaioli piuttosto che da reali differenze chimico fisiche ed organolettiche. Ma di questo parleremo in futuri post.
Per noi di Geologia e Cucina è interessante soffermarsi sul Cloruro di Sodio, il sale alimentare per eccellenza, e soprattutto sul salgemma, l'elemento cristallino che provenie dalle miniere terrestri.  
Il salgemma, o sale di rocca, prende il nome mineralogico di halite, derivato delle parole greche «άλς» che significa sale e «λίθος», pietra.
Dopo il gesso è uno dei minerali a minore durezza (2 su 10, valore massimo del diamante) ed assume una struttura simmetrica, il più delle volte cubica. Fonde a 860°C ed ha un peso specifico di 2,168. 
Si tratta di un elemento puro, composto quasi al 100% di ioni di Sodio e Cloro, che si forma per evaporazione di antichi mari e bacini “chiusi” (basti pensare al Mar Morto). Gli spessori di alcune centinaia di metri, sfruttabili come giacimento, superano la profondità del bacino da cui hanno origine: questo fenomeno è dovuto a fenomeni di sprofondamento del fondo marino, accompagnati da apporti ciclici di nuova acqua che interrompe il processo di formazione, dissolve nuovamente i minerali e forma successivi strati ricristallizzati.
In Europa le più antiche miniere di salgemma sono in Austria a Salzsburg (appunto la “Città del sale”), in Polonia (miniere di Wieliczka e di Bochnia), in Spagna (Cardona), in Ucraina (Solotvyno) ed in molte aree del mondo quali il Tibet, l’Iran e il Sudamerica.
Non mancano, tuttavia, importantissimi giacimenti in Italia, specie in Sicilia, in un’area in cui una profonda crisi di apporto idrico avvenuta circa 6 milioni di anni fa (Messiniano), genericamente attribuita alla chiusura dello stretto di Gibilterra, provocò la formazione di un enorme lago salato corrispondente all’attuale Mar Mediterraneo, prolungandosi per un milione di anni circa.
Si formarono enormi spessori di “evaporiti” per la precipitazione dei sali, a partire da quelli meno solubili: prima i carbonati (calcite), poi i solfati di calcio (gesso), il salgemma (cloruro di sodio) e per finire i restanti cloruri e solfati.
I più famosi siti di estrazione italiani sono quelli di Petralia Soprana, Racalmuto e Realmonte, a cui si affiancano quelli in Val di Cecina, in Toscana, in Val d'Agri, in Basilicata e a Crotone, in Calabria.

La miniera di Petralia Soprana rappresenta uno dei giacimenti più ricchi d'Europa: si estende per oltre 2 km², con uno spessore di 250 m, con un tenore in cloruro di sodio fino al 99,9 %, la cui purezza fa pensare ad una origine secondaria, ovvero che si tratti di depositi salini preesistenti che le vicende geologiche dell'isola hanno disciolto, dislocato e ricristallizzato. Petralia si trova nel cuore delle Madonie, all’interno dell'omonimo Parco e rappresenta un geosito di eccezionale interesse, meritando una visita attenta. Manifestazioni dedicate alla conoscenza e diffusione del nostro patrimonio geologico, come la Settimana del Pianeta Terra, nella quale abbiamo avuto il piacere di organizzare lo scorso ottobre un appuntamento sul carsismo, rappresentano una immancabile occasione di arricchimento culturale.
Ma esiste una differenza sostanziale tra sale marino e salgemma ? E soprattutto qual è l’uso che si può fare in cucina di questo straordinario cristallo ? 
Per il primo aspetto almeno dal punto di vista organolettico, non esistono differenze sostanziali. Il  salgemma, tuttavia, per le modalità di formazione, perde molti degli elementi originari e capita spesso che debba essere arricchito di tutto quanto è ricca l’acqua marina: cesio, iodio, magnesio ed, ovviamente, sodio.
L’utilizzo alimentare più conosciuto è sicuramente quello di conferire sapidità ed esaltare il gusto di una pietanza. 
Ma sale non è solo condimento: può avere un uso terapeutico, cosmetico (o entrambi come nelle  grotte di sale) e  può essere anche molto più semplicemente uno  strumento di cottura.
Recentemente su molti siti di vendita online o in negozi  molto forniti di casalinghi, si trovano delle  interessanti piastre ricavate di solito dal sale rosa dell'Himalaya, ma anche con altre provenienze, utilizzate per cuocere. Sono lastre molto spesse e pesanti, tagliate in diverse forme e misure che devono resistere ad alte temperature (ricordiamo il sale fonde a 860°C), immagazzinare calore velocemente e cederlo lentamente.
Si utilizzano come una normale piastra per cucinare cibi in modo leggero e senza grassi. Molto igieniche e pratiche si puliscono semplicemente con acqua o bicarbonato e a ogni lavaggio si assottigliano un po' per l’alta solubilità del materiale.

Queste piastre si usano quindi come la più nota pietra ollare, si scaldano in  forno o sul  fornello e poi si procede alla  cottura. Se si scelgono pezzature grosse di carne, come fiorentine o tagliate, è preferibile procedere alla cottura vicino alla  fonte  di calore mentre  per  pezzi  piccoli di carne, pesce o  verdure si può cuocere direttamente  a tavola unendo anche la  convivialità al gusto e leggerezza  di  questo modo di cucinare che sta conquistando gli amanti della cucina naturale e leggera.

La lastra di sale grazie alle sue caratteristiche può essere usata in molti modi diversi: come semplice vassoio per presentare le vivande, come piatto con proprietà refrigeranti mettendolo nel congelatore per una decina di minuti) e per cuocere (dopo averlo scaldato in forno).

La cosa  divertente secondo noi è farsi da soli in casa una piastra per la cottura seguendo le  indicazioni dello chef sloveno Tomaž Kavčič che per primo ha  riportato in auge  un metodo di cottura  vecchio di migliaia di  anni proprio dopo una  visita alle saline di Pirano.
A Tomaž venne l'idea di aromatizzare in vario modo il fior di sale e di trasformarlo in un letto su cui cuocere pesce e carne.
Come si fa?
Si parte da sale grosso, preferibilmente integrale di salina e quindi ricco di oligo elementi, e già questo fa la differenza col normale sale da cucina, ma se non lo troviamo va bene anche quello comune.
Si aromatizza il sale con delle erbe a piacere tritate, meglio se al coltello (anche questo è importante), si fa uno strato di almeno due dita in una teglia o una padella (non antiaderente), si spiana la  superficie colmando i vuoti con sale  fino e si porta a temperatura, almeno 150°C. Si vaporizza la piastra con un infuso preparato con le stesse erbe o altre a piacere. Un risultato interessante lo dà  l'uso di un tè  affumicato per  cuocere del pesce o  carne, ma non con le verdure.
Il sale, grazie all'alta temperatura e all'acqua, prima va parzialmente in soluzione, poi solidifica e  compatta formando una lastra su cui  cuocere gli alimenti scelti. In questo modo si ottiene una cottura senza aggiunta di grassi che mantiene inalterati sapori e consistenze e allo stesso  tempo la piastra cede il giusto quantitativo di sale che dà sapidità ai cibi.

Il segreto di questa cottura è dato dai vapori aromatici sprigionati dall'umidità del sale che evaporando trasmettono i profumi ai cibi. 

Procedimento:
1. Mettere una vecchia teglia sul fuoco, volendola proteggere  si può rivestire con un foglio di carta di alluminio, in questo modo sarà più semplice pulirla ed estrarre la lastra.
2. Versare nella teglia il sale grosso mescolato assieme ad abbondante rosmarino, salvia, timo e altre erbe a scelta.

3. Nel frattempo preparare un infuso con altre erbe.
4. Compattare il sale stendendolo in modo uniforme, scaldare a fuoco molto alto e attendere circa 10 minuti, e quando è rovente vaporizzare bene con l'infuso in modo che gli aromi contenuti si miscelino al sale e ai suoi vapori.
5. Aspettare che la piastra s'indurisca, come una pietra, quindi vaporizzare di nuovo. Ripetere alcune volte.

6. Cuocere il cibo prescelto come fosse una pietra ollare, in forno, sul  fornello o direttamente  a tavola, se necessario vaporizzando fino alla cottura completa.
7. Servire e mangiare.

Perfetta per la carne, il pesce, i crostacei e le verdure, una volta  raffreddata e pulita questa lastra può essere riutilizzato dopo un passaggio  in forno caldissimo per  eliminare i residui di cibo.
Inoltre poiché i cibi si cucinano senza l'aggiunta di grassi (olio, burro) è ideale anche per una dieta  ipocalorica.
Inoltre gli alimenti cotti sulla mattonella assorbono la giusta quantità di sale di cui hanno bisogno, salandosi autonomamente.
I tempi di cottura sono molto più  brevi delle  tecniche "sotto sale" o "in crosta di sale" , ideali anche ideale per chi ha poco tempo a disposizione.

Per saperne di  più:

Un video pubblicato da L'Espresso:



martedì 8 marzo 2016

La geologia a tavola. Cucinare senza frontiere. Il pdf scaricabile.



Geologia e Cucina nasce dall'idea di due  geologi con la voglia far conoscere, anche a chi è meno addentro in questioni geologiche, come ognuno di noi ogni giorno sia collegato alla geologia  del  luogo attraverso un atto quotidiano come quello di nutrirsi. Partendo da ciò che mangiamo (e beviamo) passando attraverso le tecniche e il modo in cui viene preparato il nostro cibo e gli  strumenti utilizzati, la geologia gioca sempre un ruolo nella  nostra vita, a  volte  non così evidente.

Il legame con la geografia è per molti più intuitivo, grazie anche a reminiscenze scolastiche dove viene data spesso un’infarinatura (ecco un primo termine rubato proprio alla cucina) di geografia economica. Se pensiamo che questa disciplina è legata  a  doppia mandata all'evoluzione geologica di una zona ecco che  il collegamento risulta più facile.
Il mangiare e il bere e soprattutto l’atto del cucinare sono così dentro la nostra vita che spesso si utilizzano termini rubati a questa attività per descrivere azioni in  ambiti completamente diversi. E così oltre ad infarinare con la cultura, facciamo polpette di chi non ci piace, siamo fritti quando vediamo la mala parata, abbiamo conoscenze di gnocchi tonti e di gnocche affascinati, delle  pere credulone e dei “selleroni” (termine romanesco per sedano) alti lunghi e "senza sale".

Saline di Ibiza, Spagna
La lista è lunghissima, e se abbiamo tutti degli amici che sono dei pezzi di pane non  molti sanno che anche alcuni termini della cucina vengono  utilizzati in geologia.
E così quando degli  strati allungati e stressati da alcune forze a cui sono sottoposti si dividono in piccole unità unite tra loro come  salsicce (boudin noir in francese è una salsiccia di sanguinaccio) il fenomeno prende il nome di “boudinage” ed è utilizzato in tutto  il mondo (un esempio e per saperne di più: buodinage).

Non a  caso esattamente due anni fa, il 19 marzo del 2013 presso l'Académie Royale del Belgio è stato presentato il volume "Geology at the table. Cooking without borders", a cura di EuroGeoSurveys, l’organizzazione internazionale con sede a Bruxelles che raggruppa i Servizi Geologici dei Paesi europei, responsabili di ricerca, monitoraggio e raccolta delle informazioni sul territorio, sul sottosuolo e sulle sue risorse.
Ma questa volta la mappatura del continente europeo realizzata da EuroGeoSurveys è particolare: è una mappatura geologica e alimentare.
http://www.onegeology-europe.org/
OneGeologyEurope il portale della geologia europea

In questo libro gli autori sono geologi dei paesi della Comunità Europea e mettono  in risalto molti di queste affinità partendo soprattutto dal perché in certe regioni si trovano alcuni prodotti invece  di altri, come si preparano in cucina, materiali e tecniche utilizzati. E a volte è curioso scoprire aspetti che potrebbero essere sconosciuti anche ai geologi stessi.

Geology at the table, nato da un'idea di Claudia Delfini, Communication Manager di EuroGeoSurveys, è stato realizzato con l'aiuto di un cuoco italiano lo chef Vito Pepe del ristorante Beccaceci che sotto la supervisione di un nutrizionista Piero Campanaro ha coordinato tutte le ricette e riprodotto  i piatti scelti dai tecnici.
Sono state raccolte27 ricette di 25 paesi e di ogni preparazione o ingrediente si è voluto spiegare quale sia il  legame che collega il cibo alla  geologia. E se a  molti è  chiaro che i cavoletti più famosi sono quelli di Bruxelles magari ignorano che sono le  caratteristiche  geomorfologiche della città della città, sorta nella piana alluvionale del fiume Senne a favorire la crescita  di questo  prezioso ortaggio.  

La  nostra penisola è forse il paese che presenta al suo  interno la più grande complessità e diversità geografica e climatica tra i paesi europei e questo testo ci farà scoprire perché l'allevamento delle bufale e la produzione di mozzarella  di bufala trova la sua  massima espressione in alcune limitate zone dell'Italia centrale. L'autore della  pagina italiana è Marco Pantaloni, geologo ISPRA e  cofondatore  di Geoitaliani.

Dopo una  prima introduzione sulla geologia  dell'Europa il  viaggio continua toccando  tutti  i 25 paesi che ne costituiscono la Comunità e scoprendo tanti altri segreti come  il perché  dei vini francesi o di quelli  austriaci

o il motivo per cui  in Olanda alla foce dell'Oosterschelde troviamo i migliori astici del mondo l'Homarus gammarus Linnaeus1758 o astice blu europeo, meno pescato  del parente americano ma ritenuto migliore.
Astice europeo
Ma le  sorprese non finiscono qui, dalla fredda  Norvegia arrivano  rarissime  more e dalla Spagna il sale, un minerale  commestibile, il sale marino, dal valore  elevatissimo  in epoche passate.
Molì de  Sal - Formentera, Spagna
Molì de  Sal -  Formentera, Spagna
Il  pdf  del libro, stampato in  edizione di lusso come regalo dell'EuroGeoSurveys  agli  ospiti durante eventi internazionali è scaricabile  a questo link.

La copertina http://www.isprambiente.gov.it/files/notizie-ispra/notizie-2013/geologia-a-tavola/GeologyTableCover.pdf
su EuroGeoSurveys: http://www.eurogeosurveys.org/geology-at-the-table-an-original-geogourmet-cookbook-from-egs/
Il contributo dell'Emilia Romagna: http://ambiente.regione.emilia-romagna.it/geologia-en/notizie/news-2013/geology-at-the-table-cooking-without-borders
Il testo integrale http://www.eurogeosurveys.org/wp-content/uploads/2014/07/EGS-Cookbook.pdf

[foto originali di @GeologiaeCucina]


martedì 1 marzo 2016

Fiumi di birra con l'acqua del Sindaco

La bellezza di un viaggio che dal mondo del Vino conduce a quello della Birra artigianale è che non si tratta di un percorso di sola andata. Anzi, il vero appassionato mantiene la doppia cittadinanza ed il piacere edonistico che risiede in entrambe le bevande, nel loro abbinamento ad un cibo o nella degustazione assoluta, quella che io definisco “l'abbinamento al cristallo”.
In questo viaggio tuttavia, una delle cose che mi ha inizialmente disorientato è stata l'apparente assenza di un legame tra la Birra ed il territorio, che costituisce invece uno degli assiomi portanti del rapporto tra vino e luoghi di origine.
Nella viticoltura infatti, le caratteristiche pedologiche, geologiche e climatiche di una regione influenzano fortemente il profilo organolettico della bevanda, al netto delle attività di cantina.
Per la Birra si deve tenere conto di fattori completamente diversi, ognuno dei quali possiede un numero significativo di variabili. Primi fra tutti gli ingredienti di base che sono ben quattro (acqua, malto, luppolo e lieviti), ma non secondaria è l'attività del Mastro Birraio, le cui scelte determinano la personalizzazione del prodotto finale e l’aderenza ad uno stile birrario di riferimento. Lo stile è quell'insieme delle caratteristiche organolettiche, di origine e di produzione, che permettono di classificare la Birra all'interno di una categoria ben riconoscibile: ne esistono alcuni molto comuni (chi non ha mai sentito parlare di Pils o Weiss), ma in una delle sue recenti pubblicazioni (2015) l'organizzazione internazionale di riferimento, il Beer Judge Certification Program, ne raccoglie da tutto il mondo un elenco di ben 93 pagine !

Per deformazione professionale, mi sono velocemente appassionato al tema della "territorializzazione" delle Birre scoprendo che, anche questa volta, la Geologia ha una grandissima parte di responsabilità nel rapporto tra la bevanda e la sua zona "storica" di origine. In questo caso il comune denominatore è sicuramente rappresentato dall'acqua, che non dimentichiamo costituisce il 90-95% della bevanda, e dalle sue caratteristiche geochimiche, che influenzano la qualità organolettica del prodotto e lo sviluppo di un stile in un'area del globo ben definita.
Tra quanto trovato in rete è stato possibile raccoglie alcune "Carte di Identità" delle acque di siti e di città che rappresentano il riferimento "assoluto" per la produzione di una determinata tipologia birraria, comprendendo tra queste anche alcuni Monasteri Trappisti (valori in ppm).

CITTA’
Pizen
Monaco
Dublino
Vienna
London
Chimay
Burton Upon Trent
Orval
West
Flanders
Dortmund
CITTA’
Ca2+
7
75
115
200
90
70
275
96
114
250

Mg2+
2
20
4
60
5
7
40
4
10
25

Na+
2
10
4
8
15
7
25
5
125
70

SO42-
5
10
55
125
40
21
450
25
145
280

HCO3-
15
200
200
120
125
216
260
287
370
550

Cl-
5
2
19
12
20
21
35
13
139
100

STILE
Pils
Munich
Bock
Stout Porter
Vienna
PorterStout
Trap
IPA
Trap
Sour
Dortmunder
STILE

Si tratta ovviamente di tabelle di riferimento, ma utili per alcune considerazioni, ben note agli Homebrewers ed agli appassionati.
Per le Birre in stile anglosassone, l'acqua estremamente dura con l'alta concentrazione di solfato e magnesio, come nella cittadina di Burton Upon Trent (considerata la patria dello stile) enfatizza il ruolo del luppolo, tipico delle English bitter e delle Pale.
Le acque leggere e dolci della ceca Plezn hanno conferito un carattere estremamente distinguibile alle chiare Pils.
A Londra, a Dublino e a Monaco l'alta concentrazione di bicarbonato è utile a bilanciare le proprietà acide dei malti scuri e tostati usati per Porter, Stout e Bock.
Per poter produrre una Birra aderente allo stile, si devono quindi effettuare delle vere e proprie correzioni e trattamenti di quanto si ha a disposizione. Per avere notizie sulla qualità, i gestori mettono a disposizione le analisi chimiche qualitative all'atto della immissione nella rete acquedottistica.


Roma, che fin da epoca antica viene alimentata da sorgenti, bere l'acqua del Sindaco è il modo gergale ed affettuoso di identificare l'acqua potabile che sgorga dai rubinetti casalinghi. La città mette a disposizione una fitta rete di punti di prelievo pubblici, i cosiddetti "nasoni", le fontanelle che distribuiscono acqua potabile e gratuita, così chiamati per la caratterista parte curva della canna in ferro.
Oggi sono oltre 2.500 e l'Acea, ex azienda municipalizzata, in occasione dei suoi 100 anni ha realizzato nel 2009 una mappa che consente di scovare i "nasoni" presenti nel centro storico della città. Con essa ha pubblicato una carta di identità dell'acqua distribuita e delle sue caratteristiche qualitative medie.


Roma e Fiumicino sono servite da 4 sistemi di approvvigionamento, emunti con continuità da:
– Sorgenti del Peschiera – Capore situate nell’Appennino Centrale nell’Alta e Media Sabina;
– Sorgenti dell’Acqua Marcia situate nella valle dell’Aniene, nella zona tra Subiaco ed Anticoli Corrado, con eventuale immissione della sorgente di Acquoria all’altezza di Tivoli;
– Fonti di approvvigionamento Appio Alessandrino, che comprende i pozzi di Finocchio, di Torre Angela e di Pantano Borghese, situati nella zona Est della Provincia di Roma;
– Sorgenti dell’acquedotto Nuovo Vergine, situate a Roma in Località Salone.

Attraverso questo sito, sempre ACEA permette di acquisire maggior dettaglio sulla  qualità delle acque in tutta l'Area Metropolitana di Roma Capitale, con una semplice ricerca su mappa, come quella qui sotto.



A disposizione di appassionati hombrewers un utile strumento per orientare la propria produzione casalinga che, anche questa volta, mette in stretta relazione le caratteristiche geologiche del nostro territorio con uno dei molteplici aspetti del mondo della cucina e della birra in particolare.



# Bibliografia essenziale
- IL TRATTAMENTO DELL'ACQUA NELLA PRODUZIONE DELLA BIRRA, 2014 da http://www.makebeer.it/trattamento_acqua/
- Beer Judge Certification Program "BEER STYLE GUIDELINES 2015"