mercoledì 27 luglio 2016

Street Food con Guida 2017: roba da geologi !


Interessantissima e ricca di spunti la manifestazione organizzata dal Gambero Rosso alle Officine Farneto di Roma per la presentazione della Guida 2017 Street Food
Un evento "perfetto" per il connubio tra Geologia e Cucina.
Alle  spalle dello chef Max Mariola, il presidente Cuccia e Laura Mantovano. A sinistra il forno delle  Offiine Farneto
Innanzi tutto la location: nate come magazzino di casermaggio militare, le Officine negli anni sono state riconvertite a numerosi usi tra cui Fabbrica di Ceramiche, che utilizzavano le vicine argille della collina di Monte Mario.

Di questa recente attività sono ancora visibili gli alti camini e soprattutto il forno di cottura, collocato in adiacenza all'area in cui si sono svolte le presentazioni.

Poi l'oggetto della Guida, che rappresenta l'evoluzione di quel cibo di strada da sempre compagno dei geologi nel lavoro quotidiano, a contatto con il territorio.


Lo stesso subheabding "Il Gusto Autentico del Cibo di Strada Italiano", nasce proprio per sottolineare questa realtà presente e fortemente connotata in tutte le aree della nostra penisola, con estrema capillarità.
Ci siamo trovati così alla premiazione ed agli assaggi delle punte di diamante regionali, che rappresentano però una piccola parte rispetto agli oltre 450 indirizzi racchiusi nel volumetto, dove compaiono pizzerie, forni, mercati, tavole calde e locali selezionati dai curatori di questa quarta edizione.


Sfogliandolo le 224 pagine con curiosità molti di quelli che, come noi, hanno un rapporto quotidiano con il territorio ritrovano nomi noti, spesso meta e sosta durante sopralluoghi di lavoro o nel corso di semplici passeggiate. A questi si affianca sempre un maggior numero di recenti aperture che portano alla ribalta idee nuove, a volte innovative, che superano il concetto del "mordi e fuggi" e si collocano come vere e proprie esperienze gastronomiche, attraverso l'utilizzo di materie prime selezionate di alta qualità, uno degli elementi conduttori della Guida 2017.
Il premio Street Food 2017 è andato a Pietro Parisi, chef campano premiato per il l'idea di portare le specialità della sua terra all'interno di in un vasetto pronto al consumo.  


Premio speciale all'Ape che continua su strada il percorso del locale nato delle brave chef Paola e Valentina, bruscamente interrotto dal terremoto del 2009 a L'Aquila.
La Guida, visto anche il suo agile formato e il prezzo contenuto (6.5 €), si dimostra un validissimo supporto per la ricerca di un "posticino" che consenta una sosta breve, poco onerosa e comunque gratificante.
La sua completezza territoriale ne fa un ottimo strumento sia nel pieno della propria attività lavorativa o in un periodo vacanziero, sapendo trasformare la meritata pausa in un momento appagante e in una esperienza sensoriale tipica di ogni territorio e, per questo, irripetibile altrove.

Qui sotto i premiati regione per regione:
- Sushiball a Courmayeur per la Valle d'Aosta,
- Panetteria Brusconi a Torino per il Piemonte
- Moltedo a Recco per la Liguria
- Ravioleria Sarpi a Milano per la Lombardia
- La Gourmetteria di Padova per il Veneto
- Briciole Food & Drink a Rovereto per il Trentino
- Mamm Ciclofocacceria a Udine per il Friuli Venezia Giulia
- Punto G a Piacenza per l'Emilia Romagna
- Semel a Firenze per la Toscana
- Il Furgoncino a Pesaro per le Marche
- Bacalino a Perugia per l'Umbria
- Mama Pasta a Roma per il Lazio
- Alla chitarra antica a Pescara per l'Abruzzo
- Maramimmo a Termoli per il Molise
- Da Gigione a Pomigliano d'Arco per la Campania
- Piadina Salentina di Lecce per la Puglia
- Le stuzzicherie di Silvana ad Avigliano per la Basilicata
- La Romana di Crotone per la Calabria
- Nino u' Ballerino di Palermo per la Sicilia
- Sebaderia Dulcinea di Nuoro per la Sardegna.

A Pietro Parisi il premio Street Food 2017 del Gambero Rosso - Blog
  

mercoledì 20 luglio 2016

Paesaggi di pietra: le Cinque Terre.


Poche aree in Italia evocano un complesso di suggestioni come le Cinque Terre.
Potremmo definirle l'archetipo del nostro blog, un luogo dove tutto si fonde. La geologia straordinaria e complessa, i fenomeni geomorfologici estremi, con una casistica variegata di eventi, anche catastrofici. 
Una straordinaria ricchezza in termini biodiversità, con tre Siti di Importanza Comunitaria terrestri ed uno marino, le Cinque Terre sono Parco Nazionale dal 1999, dopo essere state dichiarate nel 1997 Patrimonio dell'Umanità Unesco e, sempre in quello stesso anno, Area Marina Protetta.


Carta Geologica d'Italia scala 1:100.000 Foglio 95 "La Spezia" - www.isprambiente.gov.it/
http://193.206.192.231/carta_geologica_italia/tavoletta.php?foglio=95
Limitiamoci alle ulteriori suggestioni di tutto quello che è Cucina, gastronomia, prodotto tipico in qualche modo legato ai luoghi, alle forme, alla Geologia che caratterizza questo primo lembo di Ligura proveniente da Levante, con due elementi sempre presenti: la Terra ed il Mare.
Basta solo un elenco di nomi, simbolo di un rapporto indissolubile tra persone, cultura e territorialità: Agrumi, Pesto, Olio extravergine di oliva, Acciughe salate di Monterosso, Vino; tutti argomenti che meriterebbero un post di approfondimento.
E poi agricoltura estrema, dove l'uomo strappa brandelli di terreno con pendenze al limite delle vertigini, rendendoli coltivabili con una tecnica antica, quella dei muretti a secco: il paesaggio di pietra, appunto.


Le Cinque Terre prendono il nome proprio dai Borghi incastonati nelle ripide rocce che, tra Punta Mesco e Punta di Montenerone, ne formano la struttura da milioni di anni: Monterosso al Mare, Vernazza, Corniglia, Manarola e Riomaggiore.
La Geologia di questi luoghi, come detto, è particolarmente complessa: siamo nel pieno scontro tra la placca europea ed il promontorio settentrionale della placca africana, in una zona dove le rocce più antiche del fondo oceanico in corso di chiusura, si sollevano e si accavallano ed incorporano unità prodotte dallo scollamento di parte della copertura sedimentaria della placca Adria.
Le rocce più recenti che affiorano sono quelle della "serie toscana" dell'Oligocene, tra cui ricordiamo il cosiddetto Macigno, una arenaria torbiditica, formata cioè dai depositi che provenivano dai materiali smantellati dalle catene rocciose in corso di sollevamento, confluiti in flussi incanalati verso le aree di sedimentazione.


Come dicevamo una delle particolarità più affascinanti di queste zone è il paesaggio agricolo: ettari ed ettari di territorio dal livello del mare fino a 500 metri in quota pazientemente destinato, nei secoli, ad accogliere muretti in pietra e retrostanti terrazze colmate di terreno adatto alla coltivazione. 
Per dare una idea di come questo paesaggio cosi affascinate sia in realtà frutto della completa trasformazione da parte dell'uomo, basti pensare ai dati: da alcuni studi sono vengono ipotizzati 4.200 metri cubi di muri costruiti per creare una superficie terrazzata, che nei secoli ha raggiunto i 2.000 ettari, con circa 8 milioni e mezzo di metri cubi di pietrame impiegato.
Oggi questo patrimonio appare in tutto il suo delicato equilibrio, legato alla continua necessità di manutenzione ed alla fragilità intrinseca di queste zone spesso interessate, anche per la loro collocazione geografica, da fenomeni meteorologici particolarmente intensi.  



E' incredibile come anche in questo caso sussista un legame strettissimo tra la struttura geologica di questo tratto di penisola e i prodotti del territorio, specie quelli agroalimentari che arricchiscono le nostre cucine di sapori e profumi. Proprio uno studio sui muri in pietra realizzato dall'Ente Parco (scaricabile qui in pdf) e sulle tecniche necessarie per la loro conservazione ha fatto emergere come ad ogni tratto geologicamente omogeneo delle Cinque Terre corrisponda una tecnica di realizzazione dei muri e una tipologia di coltivazione connessa.
E' importante osservare come la maggior parte del materiale utilizzato provenga dalle rocce in posto, spesso dal dissodamento dei terreni e, nel caso di litologie non idonee, da piccole cave di prestito presenti in zona.



E cosi si scopre che nel settore orientale del Parco il substrato roccioso (Macigno) ha favorito la costruzione di muretti a secco con la pietra locale, mentre nell'area centrale la prevalenza di litologie argillose ha determinato l'approvvigionamento da alcune cave di prestito. Discorso a parte il territorio di Monterosso, molto eterogeneo e caratterizzato da mutevole variabilità delle rocce utilizzate per la costruzione, dalle arenarie fino alle rocce metamorfiche molto compatte originatesi dai fondali oceanici. Molte vole si trovano elementi che hanno subito alcuni rimaneggiamenti e che provengono da depositi di spiaggia, erosi dall'azione delle acque marine.


I muretti a secco (realizzati senza legante) sono molto presenti nelle aree vitate, mentre nelle zone interessate da agrumeti sono sviluppati terrazzamenti con muri in pietra legati con malta di calce, che raggiungono altezze più elevate (anche nell'ordine dei 4-5 metri) e consentono una sistemazione pianeggiante del terreno alle spalle (clan in dialetto).
In questo modo era più agevole la coltivazione degli agrumi soprattutto in relazione alle modalità di irrigazione che nel passato erano attuate “a scorrimento” attraverso la realizzazione di piccoli solchi mediante i quali le acque venivano convogliate dalle vasche di raccolta verso ogni singola pianta.

Anche questo tratto di penisola italiana merita un approfondito viaggio.


mercoledì 6 luglio 2016

Mettere in valigia Le Parole della Terra.


In queste torride giornate estive, si cerca refrigerio ovunque e più che mai nel pensiero di una prossima vacanza rigeneratrice.
Mare, montagna, collina non importa: la parola d'ordine è rilassarsi per qualche giorno e, soprattutto, ricaricare le batterie quasi esauste per ripartire alla grande.
In questi mesi con il nostro blog abbiamo cercato di raccogliere curiosità e raccontare territori, con un stimolo alla visita ed alla scoperta, coniugando tutto quello che è racchiuso nelle parole chiave "Geologia e Cucina".
Speriamo di essere riusciti ad invogliare i nostri lettori vacanzieri a scendere nelle viscere di Napoli, comprare una pietra coti di passaggio in Val Seriana, a fuggire dalla calura della Capitale, visitando il reatino, salendo sul Monte Soratte o perdendosi tra i vicoli di Sant'Angelo Romano; per gli esterofili incalliti, risalire alla sorgente degli stili birrari "europei", anche nella Gran Bretagna post Brexit.


Ma il compagno di ogni vacanza, fedele e fidato, che non può mancare in ogni valigia in preparazione, tra uno robusto scarpone da trekking o un colorato pareo marino, non può essere che lui: un buon libro
Cartaceo, possibilmente. 
Dopo esserci cibati di tecnologia social, alla ricerca del riflesso giusto e con gli occhi convergenti su uno schermo a 5 pollici, delego alla mia estate anche un riposo oculare, riacquistando le sensazioni tattili della tecnica...tipografica. 
A costo di un piccolo sacrificio, per peso e dimensioni, sullo spazio in bagaglio.


Ho scovato questo volumetto stampato nel 2003, oserei dire questo "tesoro" in un mercatino. L'ho letto, riletto, triletto. Ogni tanto lo apro a caso e ne scorro poche righe e faccio sempre la stessa considerazione: come ha fatto a privarsene chi lo ha messo in vendita su una bancarella di provincia ?
Le Parole della Terra - manuale per enodissidenti e gastroribelli di Luigi Veronelli e Paulo Echaurren ed. Stampa Alternativa va comprato, o preso in prestito da un amico e messo in valigia.
Se proprio non lo trovate acquistate l'ebook, forzando le regole appena scritte.
E' la riproposta, sotto forma di dialogo tra i due autori, dei due anni di collaborazione che Veronelli ebbe con il settimanale Carta di cui curò la rubrica, appunto, Le Parole della Terra.

Luigi Veronelli (en.wikipedia.org)
La mia soperta di Veronelli è tardiva, forse troppo tardiva, con la sensazione di aver passato parte della mia adolescenza leggendo giornalini e ascoltando Furia cavallo del West mentre, poco metri più in là, si scriveva la storia: un po' come essere vissuti negli anni '60 senza aver ascoltato The Beatles.
Veronelli in realtà lo vedevo in TV, in un bianco e nero pre-serale, quando la televisione bicanale ti avvertiva con un triangolino bianco lampeggiante che stava per iniziare un nuovo programma sull'altra rete e io, da "bambino-telecomando", mi alzavo a girare la manopola del pesantissimo schermo catodico. Era un programma antesignano di tutto ciò che oggi circola in materia sull'etere, dalle piattaforme digitali a quelle satellitari: A Tavola alle 7, con Ave Ninchi; le puntate ancora visibili su YouTube sono bellissime.

A Tavola alle 7 (www.youtube.com) 
Io Veronelli non lo capivo. Sebbene ne rimanessi affascinato, non lo capivo neppure quando sbirciavo la rubrica Il Buon Vino, che teneva sul settimanale Panorama, sempre nello stesso periodo, a cui mio padre era abbonato.
Ma ero giustificato, perché di anni ne avevo 7.
Solo ora, a oltre 10 anni dalla sua scomparsa, comprendo che figura rivoluzionaria quest'uomo ha rappresentato non solo nel mondo della enogastronomia, ma della cultura italiana. 
Indubbio protagonista delle battaglie per preservare la diversità nel campo della produzione agricola ed alimentare, valore assoluto e manifesto di tutto quello che oggi sembra essere il "vessillo", un po' modaiolo, della riscoperta dell'agroalimentare di qualità, del "naturale", del biologico, del libero dalla chimica.


Le Parole della Terra racconta tutto questo, del vero rapporto tra i Prodotti ed il Territorio, il Paesaggio, l'Agricoltura, gli Uomini, la Cucina, la Geologia. 
Concedetemelo: tutto maiuscolo.
E' l'esaltazione enciclopedica e nel ritmo un po' futuristica, delle Pennate di Agerola, delle Curàcc di Barghe, della Passagrassana di Bosia, delle Spadone di Castel Madama, delle Calvisio di Finale Ligure, della Madernassa di Govone, delle Moscarelle di Palata e delle Alexander di Termeno.
Tutte tipologie di Pera, che sfido a trovare nell'omologazione di un qualunque supermercato odierno. 

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Perché non ci offrono gli strumenti idonei per andare a ritroso nella catena produttiva e distributiva, per risalire alla fattoria, alla stalla, al tipo di bestiame? Poter appurare per esempio se per quella certa forma di grana sia stato utilizzato il latte della mitica vacca rossa come ci hanno tramandato i vecchi e, testardamente, si continua a fare a Coviolo e da qualche altro eroico casaro restio a svendere il proprio patrimonio genetico alle lusinghe delle banche e della convenienza.

Infatti il latte generalmente impiegato proviene dalle mammelle della mucca bianca (così si dice da queste bande), ovvero della frisona, della pezzata, dell'olandese, il quale, essendo il doppio come quantità prodotta per capo, è certamente meno potente, più confacente all'incremento dell'investimento, all'allevamento su vasta scala ma con un effetto fotocopia rispetto all'originale.

Nel reggiano c'è gente che non dimentica, che battezzava i propri figli col lambrusco per contestare le usanze pretesche, gente fiera, che conserva la memoria della cucina rosso nera (nel senso dell'anarchia), delle osterie senz'oste (prendi secondo necessità, paghi secondo possibilità, con onestà), dei liquori proletari.

Anche la vacca rossa (di nome e di fatto) farebbe la sua porca figura in apertura del nostro corteo.

(tratto da Le Parole della Terra - manuale per enodissidenti e gastroribelli di Luigi Veronelli e Paulo Echaurren ed. Stampa Alternativa, 2003)