mercoledì 25 maggio 2016

Marmo, il materiale dei capolavori.



Scrivere di Marmo di Carrara non può che incutere timore reverenziale verso quello che è riconosciuto come il materiale naturale per eccellenza, la roccia plasmata dalla mano degli uomini che hanno scritto la storia dell'architettura e dell'arte mondiale, con opere di valore universale ancora oggi ammirabili nella loro bellezza, a secoli dalla loro creazione. Si tratta, più propriamente, di marmo delle Alpi Apuane (sopra una immagine panoramica presa dal sito www.parks.it), "finalmente" nella accezione petrografica del termine: ossia una roccia di origine metamorfica generata dall'azione che le altissime pressioni e temperatura hanno determinato, durante le fasi orogenetiche, su litologie calcaree particolarmente pure, modificandone profondamente lo stato fisico e cristallino.

Carta Geologica scala 1:100.000 - Foglio 96 Massa
Ispra - http://193.206.192.231/carta_geologica_italia/tavoletta.php?foglio=96
I rilievi Apuani sono stati elevati al rango di Alpi per le loro forme particolarmente acclivi, le cime elevate e le numerose testimonianze glaciali. Si tratta, in realtà, dell'estremo lembo dell'Appennino settentrionale, che condivide con le Alpi una straordinaria complessità geologica, generatasi dall'accavallamento di due domini di origine diversa: il primo oceanico (la cosiddetta Tetide alpina), il secondo, più esterno, di margine continentale (Toscano ed Umbro-Marchigiano). 
Durante lo scontro tra le placche l'oceano Tetide scomparve e le rocce testimonianza dell'antica piattaforma corallina tropicale, insieme alle sottostanti rocce dolomitiche ed i soprastanti sedimenti di mare profondo, vennero spinte in profondità e sottoposte a temperature tali da generare enormi piegature, la ricristallizazione dei minerali presenti e la formazione di nuovi. 
Durante le fasi di deformazione si sono evoluti i processi metamorfici, mentre nella successiva fase di distensione si sono sviluppate significative fratture, che hanno portato al sollevamento ed alla esumazione delle Unità più profonde, che formano oggi il complesso metamorfico apuano vero e proprio.

Il Geoparco delle Apuane - www.apuanegeopark.it
Le Apuane sono, dal punto di vista geologico e geomorfologico, un sito straordinario: non a caso, nell'ambito del Parco delle Apuane, nel 2015 è stato acquisito lo stato di "Unesco Global Geopark".
Basti pensare che in questa zona sono state scoperte ben 19 varietà di nuovi minerali, alcuni dei quali mai trovati in altre parti della Terra. Anche i fenomeni carsici assumono un rilevo assoluto, per la presenza di diciannove tra le cinquanta grotte più profonde d'Italia ed otto tra le cinquanta più lunghe. E' stata inoltre ricostruita la presenza di ben dodici antichi ghiacciai vallivi, alcuni dei quali molto estesi e lunghi oltre cinque chilometri.
E' tuttavia nel campo della estrazione e della lavorazione del "marmo" che che le Alpi Apuane assumono, fin dall'epoca storica, una enorme rilevanza sia per il territorio che per l'economia che ruota intorno a questo materiale.

Il Borgo di Colonnata ai piedi delle Apuane -  www.bing.com
L'attività estrattiva fece sorgere la colonia romana di Luni, alla base delle Apune, da cui partiva il marmor lunensis, per la città e tutto il Mediterraneo. Numerosi furono gli edifici creati, nei secoli, con questo splendido materiale, tenace e resistente oltre che dal grande effetto scenico: il Pantheon, la Colonna Traiana, la Domus Augustana, residenza dell'imperatore al Palatino, il Tempio di Apollo, le numerose copie di statue greche che furono realizzate e permisero di far conoscere ai Romani una grossa parte della cultura ellenica classica.
Dopo la stasi medievale, una significativa spinta all'utilizzo di questo materiale fu la fervente attività educativa imposta dal culto cattolico, che iniziò ad adornare gli edifici con scene bibliche, angeli e diavoli marmorei, di grande enfasi e riconoscibilità.
Fu tuttavia la combinazione "rinascimento-barocco-neoclassicismo" che, in pochi secoli, portò alla affermazione del marmo apuano nella scultura, superando il concetto di materiale da costruzione ed innalzando le forme umane, sulla scia degli studi sull'anatomia, al concetto di capolavoro assoluto.
Dalle mani di Michelangelo, del Bernini e del Canova nacquero opere immortali come la Pietà, il Mosè, Apollo e Dafne, le Tre Grazie o la splendida Paolina Borghese, tutte in marmo apuano. 

La Pietà del Michelangelo - da www.wikipedia.it
Il marmo utilizzato, che nella classificazione commerciale viene definito "statutario" ed è bianco, presenta venature submillimetriche grigiastre, compatto e privo di porosità superficiali, a volte mostra evidenti cristalli di pirite. Viene estratto nel bacino di Carrara, dove le rocce carbonatiche  che nel resto dell'Italia centrale costituiscono la formazione del Calcare massiccio, richiamato in altri post, hanno subito un elevato grado di metamorfismo: per dare un solo parametro delle caratteristiche fisiche dei blocchi che vengono estratti, basti pensare che un solo metro cubo di questo materiale sfiora le tre tonnellate di peso.
Questo marmo oggi è molto raro, ma proprio la "geodiversità" delle Alpi Apuane permette, come ci ricorda una pubblicazione di Ispra, di censire ben 279 varietà commerciali nell'ambito delle 14 varietà merceologiche tipo, che sono denominate ordinario, statuario, bianco, grigio, venato, zebrino, arabescato, calacatta, breccia rossa, fantastico, cipollino, breccia di Seravezza, rosso rubino e nero di Colonnata. 

Il marmo viene lavorato ed utilizzato in tempi storici anche come materiale da cucina di ogni foggia e dimensione: basti pensare ai taglieri, ai pianali di lavoro, o ai mortai da cui nascono altrettanti capolavori, come il Pesto con Basilico genovese DOP.


Tuttavia uno degli utilizzi che connotano maggiormente il territorio da cui viene estratto il marmo apuano è quello che lo lega ad uno dei patrimoni gastronomici della regione e dell'intera penisola: il Lardo di Colonnata IGP
Questo prodotto, che eleva la piccola comunità di Colonnata alla ribalta internazionale, forse più che per il marmo stesso, fu per anni la merenda "energetica" dei cavatori, tagliato a fettine insieme a pane e pomodoro. Oggi le preparazioni gastronomiche sono tra le più varie, nella semplicità del suo uso che conferisce ai piatti la necessaria succulenza ed una inconfondibile aromaticità.
Il marmo assume una grandissima importanza nella preparazione del prodotto in quanto la parte adiposa del maiale da cui si ricava, viene adagiato in vere e proprie vasche costituite da questo materiale, rigorosamente ricavato dal bacino estrattivo di Colonnata per le caratteristiche di estrema finezza della grana.
La conciatura, che prevede l'utilizzo di oltre venti spezie tra cui cannella, coriandolo, chiodi di garofano, salvia e rosmarino, è accompagnata da una abbondante salatura che "estrae" l'acqua dal grasso per osmosi, andando a formare una vera e propria salamoia (la salamòra), nel quale il lardo viene posto a stagionare.

Conca di Marmo con la "salamora" di stagionatura - da www.icastellidelmarmo.it
Proprio l'utilizzo di queste vasche di marmo pose grandi problemi ai produttori a cui veniva contestato l'utilizzo di questo materiale non inerte da porre a contatto con l'alimento. Alla fine degli anni '90 si procedette a sequestri ingenti di lardo, che sembrava contraddire le regole di igiene imposte dalla normativa. Questo fatto scatenò la determinazione di alcuni e portò alla ricerca di regole produttive certe, che elevarono questo prodotto nel registro delle Indicazioni Geografiche Protette, con l'apposito Disciplinare che vide la luce nei primi anni duemila.


E' particolare come proprio il Disciplinare faccia specifico riferimento alle caratteristiche litologiche delle cosiddette "conche" nel quale, dopo la lavorazione che avviene da settembre a maggio, avviene la stagionatura in salamoia: Il lardo deve essere [...] collocato nelle apposite vasche di marmo, localmente denominate conche, preventivamente strofinate con aglio, alternando strati di lardo con gli altri ingredienti fino al riempimento del recipiente. Al termine dell’operazione, sulla conca verrà apposto il coperchio. Le conche sono contenitori di marmo bianco a forma di vasca, realizzate con materiale proveniente dall’agro marmifero dei «Canaloni» del bacino di Colonnata, che presenta peculiarità di composizione e struttura indispensabili all’ottimale stagionatura e maturazione del prodotto. Le conche possono essere ricavate dallo svuotamento di un unico blocco di marmo oppure da lastre di spessore non inferiore ai 2 cm opportunamente assemblate. Per quanto attiene al coperchio delle conche, questo sarà di marmo o altro materiale idoneo. Il lardo dovrà riposare all’interno delle conche per un periodo di stagionatura non inferiore ai sei mesi. 

mercoledì 18 maggio 2016

Monte Soratte: bunker ed asparagi.


Il Monte Soratte, imponente mole solitaria che, in un'alba di nebbia, si erge maestosa come l'isola di un mare tropicale, è stato fonte di ispirazione di numerosi miti e leggende. fin dalla antichità.
Proprio per la struttura calcarea, che caratterizza questo rilievo a nord di Roma, era nota la presenza di profonde voragini carsiche disseminate all'interno dei boschi, che ne ricoprivano con continuità i versanti molto acclivi.
I "mèri", forma dialettale che nel centro Italia identifica comunemente i pozzi carsici (si pensi al Pozzo del Merro, sui Monti Cornicolani), erano considerati la porta degli inferi.
Nacque così il mito degli "Hirpi Sorani", i sacerdoti che proprio sul Soratte veneravano Apollo in forma di lupo, forse confuso con l'antica divinità italica di Soranus. Sui resti dei templi dedicati al culto pagano, nacquero una serie di eremi che oggi possiamo ammirare salendo sulla cima, con una rete sentieristica di facile percorribilità.


La vista dalla sommità è impagabile e consente di spaziare, specie nelle giornate più limpide, a 360 gradi su un'ampia area del territorio a nord di Roma, che interessa la Sabina e l'Appennino centrale, i complessi vulcanici del margine tirrenico laziale ed una vasta porzione della piana del Tevere, fino all'Umbria.
La posizione dominate, che con i 690 metri s.l.m. incombe sulla sottostante piana tiberina, ancora una volta è legata alla struttura geologica ed alla evoluzione morfodinamica di questo settore dell'Italia centrale, di cui il Monte Soratte rappresenta un elemento caratterizzante.
La struttura calcarea è del Trias superiore e successivamente giurassica (la formazione denominata Calcare Massiccio) che ne costituisce l'ossatura, fino alle più recenti fomazioni della Scaglia cretacico-eocenica.
Si tratta di una sedimentazione che, inizialmente, interessava un mare poco profondo e che avveniva su una sorta di rilievo sottomarino, quindi leggermente ridotta di spessore rispetto alle aree dei bacini circostanti.

Il Monte Soratte (toni di blu) da Carta Geologica d'Italia scala 1:100.000 - Foglio 144 Palombara Sabina
(da ISPRA http://193.206.192.231/carta_geologica_italia/tavoletta.php?foglio=144)
Una delle interpretazioni più note della antica morfologia dell'area, considera la presenza di un'unica dorsale ad orientamento NW-SE che comprendeva sia il Soratte che i Monti Cornicolani: una sorta di catena montuosa posta in direzione appenninica. Successivamente le forze distensive, che disarticolarono questa catena, determinarono un sostanziale sprofondamento della parte mediana, lasciando isolati i rilievi agli estremi, proprio come isole invase dal mare pliocenico, nel quale iniziò una sedimentazione di terreni sabbiosi ed argillosi di bacino aperto. La ricostruzione è tratta dal lavoro di Faccenna, Funiciello e Marra "Inquadramento geologico strutturale dell'area romana" in Mem. Descr. Carta Geol. d'Italia, vol. 50.

Campagna romana nel mare del Pliocene, con le isole del M.Soratte e dei M.Cornicolani (op.cit.)  
Una volta emersa, la piana venne successivamente coperta dai prodotti vulcanici quaternari che livellarono le forme su cui oggi scorre, con andamento sinuoso e meandriforme, il Fiume Tevere prima del suo ingresso nella Capitale.
Visitare il Monte Soratte è sempre una bellissima esperienza, per il patrimonio geobotanico che arricchisce il sito, come pure per la presenza del piccolo centro abitato di Sant'Oreste, che conserva, nel suo borgo antico, scorci e testimonianze storiche di un illustre passato. Il Monte Soratte è anche una Riserva Naturale, istituita con Legge Regionale Lazio n.29 del 06.10.1997, gestita dalla Città Metropolitana di Roma Capitale.
Tuttavia, una delle maggiori curiosità è certamente rappresentata dalla possibilità di scendere nel cuore della montagna, esplorando quella che rappresenta una delle più imponenti opere di ingegneria militare del secolo scorso: i Bunker del Soratte.


I Bunker nacquero nel 1937 per volere di Mussolini per ospitare una fabbrica di armi, localizzata per motivi strategici in questo luogo segreto e reso inaccessibile, alle porte della Capitale. Lo scavo fu particolarmente impegnativo, per le caratteristiche tenaci degli ammassi rocciosi interessati. Dopo alcune vicissitudini, dovute al periodo bellico, a partire dal settembre 1942, le gallerie furono la sede tedesca del Comando Supremo del Sud Europa, guidato dal Feldmaresciallo Kesserling, che vi rimase dieci mesi, fino al pesante bombardamento alleato avvenuto il 12 maggio 1944.
Un evento particolarmente significativo per le sorti del conflitto che risparmiò, quasi miracolosamente, il centro abitato e che, proprio nei giorni della nostra visita, è stato rievocato in una suggestiva rappresentazione storica.

Più recentemente, negli anni '60, i Bunker divennero il luogo prescelto per la costruzione del rifugio antiatomico che avrebbe dovuto ospitare il governo italiano in caso di guerra termonucleare; i lavori, tuttavia, vennero bruscamente interrotti nel 1972, lasciando l'installazione all'abbandono. Oggi la fitta rete di gallerie che attraversa per più di 4 km i calcari di quasi 200 milioni di anni, è ampiamente esplorabile, grazie alla meritoria opera di riqualificazione dell'Associazione che ne garantisce la salvaguardia e la visita in giornate prestabilite.


Salire sulla cima è una esperienza che si può percorrere in poche ore, anche in modo agevole, lasciando alle spalle il paese di Sant'Oreste e procedendo all'interno di una fitta vegetazione, con percorsi attrezzati anche con aree di sosta, fornite di fontanelle di acqua potabile e comodi tavoli.
Lungo il percorso sono continue le testimonianze del processo carsico, con forme superficiali sia macroscopiche (doline ed inghiottitoi), sia minori (solchi e campi carreggiati), legate entrambe al processo di dissoluzione delle rocce da parte delle acque meteoriche, rese aggressive dalla presenza di anidride carbonica disciolta in esse.


La roccia madre calcarea favorisce la formazione di suoli ad orizzonti non troppo differenziati, a volte con presenza di rocce affioranti, che per le loro forme favoriscono la presenza di tasche di alterazione di colore bruno e rossastro, ricche di materia organica. La vegetazione, favorita dalla presenza di zone ombreggiate e senza ristagno di acqua, che si infiltra rapidamente nelle rocce fratturate, è particolarmente ricca di specie arbustive, caratteristiche di questa fascia climatica, che si trovano continuità nella lunga passeggiata verso la cima: tra di esse, meritoria di menzione, è senza dubbio la notevole presenza dell'Asparago selvatico (Asparagus acutifolius L.).

Asparagus acutifolius L. (da Sapori di Flora, edito dal Ministero dell'Ambiente e  della  Tutela del Territorio e del Mare)

Gli asparagi selvatici sono presenti in quasi tutte le regioni italiane soprattutto in boschi e terreni incolti e possono arrivare oltre i mille metri di altitudine. Preferiscono terreni calacrei o argilloso-calcarei e per questo motivo trovano la loro dimora perfetta nel sottobosco del Monte Soratte dove regnano lecci, aceri, carpini, con la fillirea, e il terebinto. In cucina si utilizzano i "turioni" cioè i polloni della pianta che fuoriescono dalla base.

(da Sapori di Flora, edito dal Ministero dell'Ambiente e  della  Tutela del Territorio e del Mare)
L’Asparago era già consumato dagli Egizi e dagli antichi Romani che già nel 200 a.C. avevano dei manuali per la coltivazione. Viene citato da diversi autori del passato tra cui Teofrasto, Catone, Plinio che ne descrissero minuziosamente il metodo di coltivazione e di preparazione e Apicio da cui sono state tramandate alcune ricette nel "De res Coquinaria". Dal XV secolo è iniziata la coltivazione in Francia, per poi, nel XVI secolo arriva al massimo della popolarità anche in Inghilterra; solo successivamente giunge anche in Nord America.
In alcune regioni italiane la raccolta è regolamentata da leggi regionali che stabiliscono periodi di raccolta e il quantitativo massimo che di solito si aggira sul chilo a persona. In alcuni casi è richiesto un tesserino analogo a quello della raccolta funghi. Prima di raccogliere questi prodotti della natura è bene informarsi.
Altra raccomandazione e di non confonderli con i germogli del luppolo selvatico

Humus lupulus L. (da Sapori di Flora, edito dal Ministero dell'Ambiente e  della  Tutela del Territorio e del Mare)
o con quelli di pungitopo

Ruscus aculeatus L. (da Sapori di Flora, edito dal Ministero dell'Ambiente e  della  Tutela del Territorio e del Mare)
(entrambi chiamati spesso anche "asparagi selvatici"), anche questi ultimi sono commestibili e vengono raccolti a primavera per farne risotti, frittate, minestre e paste ripiene.

Il modo migliore per gustarli è comunque quello più semplice che mantenga il più possibile sapori e profumi della pianta. Quindi sono banditi sughi troppo elaborati o l'utilizzo della panna. Perfetto l'abbinamento con un ottimo olio extravergine di oliva, meglio se locale, aglio e peperoncino che ne esaltano la naturale bontà per condire una pasta acqua e farina prodotta con un grano duro antico italiano.

Tagliatelle di grano duro Timilìa e asparagi del monte Soratte

martedì 10 maggio 2016

Vedi Napoli e poi...scendi nel sottosuolo.


Racchiudere Napoli nello spazio di un post è pressoché impossibile: i colori e le emozioni che permeano la città restituiscono, anche alla visita di un solo giorno, un patrimonio personale indelebile.
Un centro storico ricchissimo, i decumani romani, assi viari ancora utilizzati per la mobilità, che lo attraversano completamente, le innumerevoli chiese dagli stili sovrapposti, così come le età e le dominazioni che hanno fatto di Napoli una rigogliosa colonia greca, la capitale del regno borbonico, una declinante città sabauda e la protagonista di quattro eroiche giornate che la liberarono dalla occupazione nell'ultimo conflitto mondiale
Nelle sue mille contraddizioni, resta un punto di riferimento culturale a livello europeo almeno dal IX secolo ad oggi.


La nostra passeggiata, programmata da tempo, ci ha fatto scoprire la sua terza dimensione, forse quella meno conosciuta: la Napoli che ci interessa raccontare è quella che si sviluppa nel sottosuolo, estesissimo e ricco di una intricata rete di cunicoli e cavità per lo più antropiche, spesso stratificata nelle successive epoche storiche dagli usi che di queste cavità è stato fatto fino dalle antiche civiltà.
E di come si tenti, attraverso una meritoria riqualificazione per una parte di esse, di trasformare questo indubbio elemento di rischio urbano in una risorsa per la città e per il suo centro storico, proclamato dall'Unesco "Patrimonio dell'Umanità".

Stralcio Carta Gologica d'Italia Foglio 447 scala 1:50.000, Progetto CARG, del Centro Storico di Napoli (http://www.isprambiente.gov.it/Media/carg/447_NAPOLI/Foglio.html)
La storia geologica napoletana è strettamente legata a quella del dominio vulcanico dei Campi Flegrei, la cui attività ha determinato, almeno negli ultimi 10.000 anni, le caratteristiche morfologiche e litologiche di buona parte dell'area di nostro interesse. Il nucleo urbano iniziale fu inizialmente posizionato su un pianoro e difeso da profondi fossati naturali, con dislivelli in quota oggi testimoniati dalla pendenza di alcune delle arterie che collegano i decumani, come la via di San Gregorio Armeno
Protagonista assoluto dell'assetto del centro storico cittadino è sicuramente il "Tufo Giallo Napoletano", una piroclastite formatasi da ceneri, pomici e frammenti litici dal colore prevalentemente giallo paglierino. 

Del grande utilizzo che fu fatto di questo prodotto vulcanico come materiale da costruzione, si hanno numerose testimonianze in tutta l'area partenopea. La roccia si prestava a questa destinazione per la sua elevata lavorabilità, per una elevata densità a cui si univano una resistenza meccanica ed agli agenti atmosferici e, non ultima, la porosità che la rendeva particolarmente capace di legare con le malte.
Questa formazione non aveva caratteristiche omogenee su tutta l'area di affioramento ed è interessante notare come la stessa terminologia dei cavatori ne differenziava molte denominazioni, in funzione delle sue qualità o della sua localizzazione: si passa dal Tufo Arenoso, alla Cima di Monte, al Tufo Selvaiolo, al Tufo Duro, alla Pietra Tosta, al Tufo Ferrigno, al Tufo Comune Fino, al Tufo Fino, al Tufo Comune Molle, al Tufo Biancolillo, al Tufo Turrunello, al Tufo Pomicioso, al Tufo Fradicio.


Nelle viscere di Napoli, si accede sul fianco sinistro di Piazza San Gaetano, sede antica della Agorà ellenica e del Foro romano. Attraverso 130 scalini in penombra si passa ai 14°C costanti dei 40 metri al di sotto del caotico centro abitato, attraversando una serie di ambienti dal grande fascino che furono la sede dell'antica fonte di approvvigionamento e distribuzione idrica della città. Una intricata rete di vasche e cunicoli, rivestita di cocciopesto, il materiale composto da frammenti di laterizi minutamente frantumati e malta a base di calce aerea che i Romani impiegavano per impermeabilizzare le superfici, facendo convogliare le acque dal lontano fiume Sebeto, corso d'acqua che bagnava l'antica Neapolis. 


Si parla di oltre 600 mila metri quadrati di estensione: ogni grande palazzo aveva la propria cisterna con il relativo pozzo di approvvigionamento. Alla chiusura dell'acquedotto, avvenuta per una grande epidemia di colera, gli ambienti furono progressivamente dismessi, fino a divenire, nel dramma del secondo conflitto mondiale, un enorme rifugio antiaereo, attrezzato per lunghi periodi di vivibilità, con servizi igienici ed illuminazione. Le macerie della città bombardata e quasi completamente rasa al suolo trovarono infine il loro destino proprio all'interno delle cavità che furono progressivamente colmate da materiali di risulta e, per gran parte, rese non più accessibili.


Una curiosità geologica da segnalare, all'interno dell'enorme patrimonio museale e delle oltre 300 chiese che costellano la città, è senz'altro il pavimento della trecentesca chiesa di Santa Chiara, nell'omonimo complesso monastico. All'interno dei "marmi" (sempre nella accezione commerciale della formazione calcarea biotica che è rappresentata in foto) sono evidenti splendidi tagli di numerose Ammoniti di alcune decine di centimetri, lungo tutta l'area del calpestìo, richiamate dalle forme arcuate dei disegni dell'intera superficie rivestita.


Non si può concludere un viaggio nel cuore di Napoli senza aver gustato il suo patrimonio enogastronomico ed il prodotto che, più di ogni altro, lo rappresenta nel mondo: la pizza napoletana.
Dell'impasto, dalle forme morbide e dalla perfetta lievitazione è stato scritto e narrato di tutto: giova solo ricordare, ancora una volta, che in tutta la città e nell'antico decumano di Via dei Tribunali si tramanda l'arte della Margherita da quasi cento anni. Una pizza che, nel condimento, oltre il pomodoro, il fior di latte ed il basilico, vede tradizionalmente utilizzato formaggio grattugiato.

Per quale motivo la pizza trovi proprio nel centro della città le sue migliori qualità organolettiche sembra essere proprio la Geologia a volercelo dire. A spiegarlo, una ricerca condotta da una equipe di geologi collaboratori della Associazione Napoli Sotterranea, divulgata nell'ambito della edizione 2015 della Settimana del Pianeta Terra.


Sembrano essere proprio le caratteristiche geolitologiche, in particolare la presenza di tufi, e la particolare conformazione urbanistica ippodamea, con schema planimetrico regolare, a determinare le condizioni microclimatiche ideali per la lievitazione dell'impasto entro le 24-36 ore.
A Napoli è quindi nata la prima pizza geotermica al mondo, dall'idea del geologo VIncenzo Albertini, che per mesi ha lavorato alla realizzazione di un forno in tufo. La pizzeria, realizzata nell'area conventuale dei Teatini, utilizza una camera di lievitazione sempre scavata nello stesso materiale, che mantenendo condizioni costanti di temperatura ed umidità, conferisce quelle inconfondibili caratteristiche organolettiche e di digeribilità tipiche della pizza napoletana.

Un motivo in più per affrontare la visita a questa splendida città, in compagnia di Geologia e Cucina.

martedì 3 maggio 2016

Trasferta eno-geologica in Alto Adige


www.blauburgunder.it
Geologia e Cucina è ospite delle Giornate Altoatesine del Pinot Nero, la prestigiosa manifestazione che giunge quest'anno alla sua XVIII edizione.
Come si legge dal comunicato stampa "si tratta dell’appuntamento più atteso per tutti gli amanti del Pinot nero, che per tre giorni affollano Egna e Montagna. I due piccoli centri della Bassa Atesina, in provincia di Bolzano, rappresentano il cuore della produzione altoatesina del Pinot nero, grazie ai meravigliosi vigneti posizionati sull’Altopiano di Mazzon (Egna) e nelle località Glen e Pinzon (Montagna), che dominano dall’alto la Valle dell’Adige.
Il pubblico di appassionati, esperti, enologi e vignaioli da tutta Italia e dai paesi di lingua tedesca, attende con curiosità e passione i banchi d’assaggio, le verticali e i seminari che ogni anno vengono proposti dal Comitato  organizzatore dell’evento, con l’obiettivo di accrescere la cultura su questo nobile vitigno. Da questo intento nasce la formula del confronto fra i vini della medesima annata, quest’anno il 2013, grazie alla quale si ha la possibilità di accogliere nel proprio calice e valutare oltre 100 Pinot neri da tutto il mondo".


In effetti la partecipazione al ricco banco di assaggio è stata una esperienza unica, in compagnia degli amici Fabrizio ed Eugenio di GustoVino. La possibilità era quella di degustare tutti e 70 i vini che hanno partecipato al concorso nazionale, affiancati da una selezione di circa 20 Pinot nero provenienti da varie parti del mondo. La sede altrettanto efficace, la Sala Culturale "Haus Unterland" ad Egna.


Il concorso di quest'anno ha messo sul podio un pari merito, le versioni dalle Cantine St.Pauls e della Cantina Girlan, rispettivamente i Pinot nero Riserva "Passion" e Riserva "Trattmann", distanziati di pochissimo dalla Riserva "Anrar" della Cantina Andrian.


Come tutti gli appassionati sanno, il Pinot nero è un'uva difficile, ma capace di espressioni altissime in termini di finezza, corredo aromatico ed eleganza. che deve assolutamente derivare da idonee caratteristiche geologiche e climatiche del suo areale di produzione. Ecco perché i Pinot nero nel mondo mostrano la loro massima qualità solo in alcune regioni: fra tutte la Borgogna, sua patria di elezione. Il 2013 in degustazione sconta, in alcune zone, una eccessiva alcolicità frutto delle paticolari condizioni climatiche dell'annata.


La innata "delicatezza" del grappolo (acini serrati a mo' di pigna, da cui il nome pinot, buccia sottile sensibilità alle muffe, maturazione precoce) richiede una particolare attenzione nel trattamento in vigna ed in cantina.


In Alto Adige, che rappresenta sicuramente la regione dal più elevato livello dei Pinot nero nella nostra penisola, quest'uva si coltiva dal milleottocento, a quote elevate e in zone dal clima mediamente secco. Il pianoro naturale Mazzon, sopra Egna, rappresenta sicuramente uno dei migliori fondi per la viticoltura della zona.


L’Alto Adige è lo scenario di un fantastico e variegato mondo alpino fatto di montagne cristalline, ghiacciai, altipiani e montagne dolomitiche, patrimonio dell’Unesco. Sono pochi i luoghi che possono vantare una tale varietà di paesaggi.
La causa di tutto questo ha anche un’origine  geologica perché  possiamo considerare questa zona un territorio con peculiari caratteristiche tettoniche e stratigrafiche che riscontriamo dal paleozoico all’attuale. E dal punto di vista geologico qui si  trovano riunite formazioni rocciose che si sono originate in due  continenti: quello europeo a nord e quello africano a sud che partendo da una matrice  rocciosa molto diversa e da una  paleogeografia variegata hanno dato luogo a paesaggi multiformi. E quindi mentre  a sud prevalgono le  rocce  sedimentarie e magmatiche del Sudalpino il nord è caratterizzato prevalentemente dalle rocce metamorfiche dell’Austroalpino.
Questa varietà petrografica ha influito anche sulle  risposte  alle  sollecitazioni a  intemperie  e a ogni sorta di forze  esogene durante i periodi glaciali.
L’area in cui ci troviamo oggi ha un’evoluzione geologica  che va  dal Paleozoico superiore e  ha il culmine nel Mesozoico con la deposizione delle  rocce che costituiranno le Dolomiti. 

  
Le rocce affioranti nell'area di Egna sono le Arenarie  della Val Gardena del Permiano (Paleozoico), seguite dalla Formazione  a  Bellerophon e la  Formazione di Werfen la cui successione testimonia l’ingressione di un mare poco profondo e  la conquista da parte  di queste acque di un territorio continentale che nel Triassico (Mesozoico) si  estendeva fino all’attuale Adige.

Carta Geologica d'Italia foglio 043 "Mezzolombardo" scala 1:50.000
Senza entrare nel dettaglio caleidoscopico del vino, è evidente un rapporto diretto tra le caratteristiche geologiche della zona e le uve di qualità, che fanno proprio di questo areale un "habitat" ideale del vitigno. Dal punto di vista geologico, nell'area dell'altopiano di Mazzon (toponimo Mazzone) la roccia madre, che genera suoli dall'elevato tenore di calcare, è rappresentata da questi terreni.




Un gradino morfologico, visibile in foto, separa l'areale del pianoro dove sorgono i vigneti dalle cime montuose boscate che lo sovrastano.

Nella bellissima trasferta non è mancata una visita alla storica cittadina di Egna, dalla delicata architettura veneziana delle sue case in pietra, i cortili, i portici e gli "erker", le inconfondibili finestre ricavate a sbalzo sulle mura esterne. create per conferire una maggiore luminosità agli ambienti delle tipiche abitazioni altoatesine.


La giornata si è degnamente conclusa con una cena da Johnson&Dipoli, con i piatti della tradizione locale in un ambiente elegante al centro della cittadina di Egna.