martedì 10 maggio 2016

Vedi Napoli e poi...scendi nel sottosuolo.


Racchiudere Napoli nello spazio di un post è pressoché impossibile: i colori e le emozioni che permeano la città restituiscono, anche alla visita di un solo giorno, un patrimonio personale indelebile.
Un centro storico ricchissimo, i decumani romani, assi viari ancora utilizzati per la mobilità, che lo attraversano completamente, le innumerevoli chiese dagli stili sovrapposti, così come le età e le dominazioni che hanno fatto di Napoli una rigogliosa colonia greca, la capitale del regno borbonico, una declinante città sabauda e la protagonista di quattro eroiche giornate che la liberarono dalla occupazione nell'ultimo conflitto mondiale
Nelle sue mille contraddizioni, resta un punto di riferimento culturale a livello europeo almeno dal IX secolo ad oggi.


La nostra passeggiata, programmata da tempo, ci ha fatto scoprire la sua terza dimensione, forse quella meno conosciuta: la Napoli che ci interessa raccontare è quella che si sviluppa nel sottosuolo, estesissimo e ricco di una intricata rete di cunicoli e cavità per lo più antropiche, spesso stratificata nelle successive epoche storiche dagli usi che di queste cavità è stato fatto fino dalle antiche civiltà.
E di come si tenti, attraverso una meritoria riqualificazione per una parte di esse, di trasformare questo indubbio elemento di rischio urbano in una risorsa per la città e per il suo centro storico, proclamato dall'Unesco "Patrimonio dell'Umanità".

Stralcio Carta Gologica d'Italia Foglio 447 scala 1:50.000, Progetto CARG, del Centro Storico di Napoli (http://www.isprambiente.gov.it/Media/carg/447_NAPOLI/Foglio.html)
La storia geologica napoletana è strettamente legata a quella del dominio vulcanico dei Campi Flegrei, la cui attività ha determinato, almeno negli ultimi 10.000 anni, le caratteristiche morfologiche e litologiche di buona parte dell'area di nostro interesse. Il nucleo urbano iniziale fu inizialmente posizionato su un pianoro e difeso da profondi fossati naturali, con dislivelli in quota oggi testimoniati dalla pendenza di alcune delle arterie che collegano i decumani, come la via di San Gregorio Armeno
Protagonista assoluto dell'assetto del centro storico cittadino è sicuramente il "Tufo Giallo Napoletano", una piroclastite formatasi da ceneri, pomici e frammenti litici dal colore prevalentemente giallo paglierino. 

Del grande utilizzo che fu fatto di questo prodotto vulcanico come materiale da costruzione, si hanno numerose testimonianze in tutta l'area partenopea. La roccia si prestava a questa destinazione per la sua elevata lavorabilità, per una elevata densità a cui si univano una resistenza meccanica ed agli agenti atmosferici e, non ultima, la porosità che la rendeva particolarmente capace di legare con le malte.
Questa formazione non aveva caratteristiche omogenee su tutta l'area di affioramento ed è interessante notare come la stessa terminologia dei cavatori ne differenziava molte denominazioni, in funzione delle sue qualità o della sua localizzazione: si passa dal Tufo Arenoso, alla Cima di Monte, al Tufo Selvaiolo, al Tufo Duro, alla Pietra Tosta, al Tufo Ferrigno, al Tufo Comune Fino, al Tufo Fino, al Tufo Comune Molle, al Tufo Biancolillo, al Tufo Turrunello, al Tufo Pomicioso, al Tufo Fradicio.


Nelle viscere di Napoli, si accede sul fianco sinistro di Piazza San Gaetano, sede antica della Agorà ellenica e del Foro romano. Attraverso 130 scalini in penombra si passa ai 14°C costanti dei 40 metri al di sotto del caotico centro abitato, attraversando una serie di ambienti dal grande fascino che furono la sede dell'antica fonte di approvvigionamento e distribuzione idrica della città. Una intricata rete di vasche e cunicoli, rivestita di cocciopesto, il materiale composto da frammenti di laterizi minutamente frantumati e malta a base di calce aerea che i Romani impiegavano per impermeabilizzare le superfici, facendo convogliare le acque dal lontano fiume Sebeto, corso d'acqua che bagnava l'antica Neapolis. 


Si parla di oltre 600 mila metri quadrati di estensione: ogni grande palazzo aveva la propria cisterna con il relativo pozzo di approvvigionamento. Alla chiusura dell'acquedotto, avvenuta per una grande epidemia di colera, gli ambienti furono progressivamente dismessi, fino a divenire, nel dramma del secondo conflitto mondiale, un enorme rifugio antiaereo, attrezzato per lunghi periodi di vivibilità, con servizi igienici ed illuminazione. Le macerie della città bombardata e quasi completamente rasa al suolo trovarono infine il loro destino proprio all'interno delle cavità che furono progressivamente colmate da materiali di risulta e, per gran parte, rese non più accessibili.


Una curiosità geologica da segnalare, all'interno dell'enorme patrimonio museale e delle oltre 300 chiese che costellano la città, è senz'altro il pavimento della trecentesca chiesa di Santa Chiara, nell'omonimo complesso monastico. All'interno dei "marmi" (sempre nella accezione commerciale della formazione calcarea biotica che è rappresentata in foto) sono evidenti splendidi tagli di numerose Ammoniti di alcune decine di centimetri, lungo tutta l'area del calpestìo, richiamate dalle forme arcuate dei disegni dell'intera superficie rivestita.


Non si può concludere un viaggio nel cuore di Napoli senza aver gustato il suo patrimonio enogastronomico ed il prodotto che, più di ogni altro, lo rappresenta nel mondo: la pizza napoletana.
Dell'impasto, dalle forme morbide e dalla perfetta lievitazione è stato scritto e narrato di tutto: giova solo ricordare, ancora una volta, che in tutta la città e nell'antico decumano di Via dei Tribunali si tramanda l'arte della Margherita da quasi cento anni. Una pizza che, nel condimento, oltre il pomodoro, il fior di latte ed il basilico, vede tradizionalmente utilizzato formaggio grattugiato.

Per quale motivo la pizza trovi proprio nel centro della città le sue migliori qualità organolettiche sembra essere proprio la Geologia a volercelo dire. A spiegarlo, una ricerca condotta da una equipe di geologi collaboratori della Associazione Napoli Sotterranea, divulgata nell'ambito della edizione 2015 della Settimana del Pianeta Terra.


Sembrano essere proprio le caratteristiche geolitologiche, in particolare la presenza di tufi, e la particolare conformazione urbanistica ippodamea, con schema planimetrico regolare, a determinare le condizioni microclimatiche ideali per la lievitazione dell'impasto entro le 24-36 ore.
A Napoli è quindi nata la prima pizza geotermica al mondo, dall'idea del geologo VIncenzo Albertini, che per mesi ha lavorato alla realizzazione di un forno in tufo. La pizzeria, realizzata nell'area conventuale dei Teatini, utilizza una camera di lievitazione sempre scavata nello stesso materiale, che mantenendo condizioni costanti di temperatura ed umidità, conferisce quelle inconfondibili caratteristiche organolettiche e di digeribilità tipiche della pizza napoletana.

Un motivo in più per affrontare la visita a questa splendida città, in compagnia di Geologia e Cucina.

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