mercoledì 21 settembre 2016

Les escargots. Fossili, cucina, non amore ed inganni.

ammoniti fossili di cioccolato dello chef-pasticcere Andrea De Bellis

Les escargots
Fossili, cucina, non amore e inganni
(F.M.*)


Lei: Io dico che nessun uomo era meglio di te che oggi sei così vecchio, ma oggi nessuno è meglio di quel bel ragazzo.
Lui:   Quel che adesso sono io, lui sarà domani.
Lei:   Che importa, tu non puoi tornare ad essere quello che eri, il ragazzo lo voglio adesso, te ti ho voluto un tempo.
Marziale


Quel che il cameriere aveva da dire l’ha detto. Il piatto è perfetto, le lumache cucinate con gusto e sobrietà, molto semplici, chef soddisfatto. Il vino, un bianco con sentori di mandorla, l’ha scelto e suggerito lui, sull’etichetta il volto di una sirena, colori pastello, sembra l’ultima scena della Butterfly. Gli occhi di lei a un certo punto si sono velati, lui non ci ha fatto caso anche se il cameriere ha cercato, invano, di scuotere l’uomo, con garbo per la verità, ma questo gli è sembrato una semplice cortesia, uno stare attento al cambio di posate. In testa, pensa il cameriere, deve avere qualcos’altro. Sul tavolo c’è un libro, copertina azzurra. Ha visto, tra le tende tirate e la luce soffusa, che lei gliel’ha porto con qualche imbarazzo e lui con qualche disagio ha aperto la prima di copertina: “…per quanto t’ho amato, desiderato, voluto…”.
Il cameriere pensa, deve dirlo a sua moglie, che non dovrà più cambiare gli occhiali anche se solo una lente dato che l’altr’occhio oramai è solo un ricordo lontano, perché quel che ha letto lo ha letto da abbastanza distante, e sì che la scrittura di lei è nitida, ampia e coraggiosa, sembra un profumo. E il profumo, si sa, è dove sta il profumo stesso e non nel naso, se sta vicino è vicino, tuttavia se non voglio sentirlo non posso, pensa il cameriere, ma tu guarda che complicazione.
Ma il signore, chissà perché, prende quel dono con sufficienza, si vede che ha altro per la testa. Il piatto di lumache ha smesso di fumare, gli occhiali di lui adesso sono sul tavolo e le loro mani si incrociano. Belli quegli occhiali, pensa il cameriere, un po’ da vecchio ma, del resto, non sono vecchio anch’io? Vediamo come va a finire.
Lo sguardo triste di lei, come dispiace al cameriere quello sguardo. Lui ha invece posato sul tavolo e spinto verso di lei un cuore di granito, un piccolo cuore dai riflessi d’argento, ha preso un cubetto di ghiaccio dal secchiello e lo posa sopra, bagnata è adesso la pietra e subito riflessi hanno cominciato a vibrare, le mani si sono intrecciate ancora di più ma, non sfugge al cameriere, nervose e stanche come qualcuno che non riesce a capire o si sforza di essere presente. Fuori piove. La terza di copertina quella no, proprio non riesce a leggera. Il ghiaccio fonde…
...l’odierai quando, seduto sul divano, tremerà di freddo per la febbre che non gli passa, e sì che sono già dieci giorni che trema e non si vede luce, e sì che ha beccato un bel malanno quella sera, che pioggia!, discussioni a parte, non siete riusciti a trovare un taxi per tornare a casa dopo il ristorante, quel ristorante con il cameriere cortese, quello che ha suggerito, un ricordo lontano, il vino bianco con sentore di mandorla.
E ancora la cena, escargots, simili a conchiglie fossili, di quelle che hanno un tempo raccolto in spiaggia, quella del loro primo abbraccio, un cuore levigato dal mare, il granito delle strette convinzioni, l’oro del sole, un epigramma, quello che sono stati un tempo, amici, amori e altre storie.
E sì che, invece di aspettare, si sono incamminati, lei con la sua bella giacca e lui a coprirle il capo con un ombrello che a malapena ombra un braccio, il suo.
E sì che quando è arrivato il taxi quasi non vi voleva far sedere tanto zuppi eravate ma contenti di aver camminato sotto la pioggia con un vento teso che rigava il volto, il suo bel volto sorridente. E le mani? Ognuno per sé.
E in tasca il cuore di pietra – ma dov’è andato a finire? L’ho preso? L’ho perso? – ricordate vero, lucido di lucidi minerali, non tiepido ma nemmeno freddo, fuso del tutto il ghiaccio. Il cameriere ha ribadito la ricetta, crema di burro, il sapore deciso del prezzemolo – mai amato il prezzemolo lei – i riflessi giallo oro di un fossile d’altri tempi, helix felix e Marziale in sottofondo, ogni tanto lo leggono, ricordi d’un tempo passato: gli uomini vecchi che fanno la fila con le mogli giovani e il nubiano, quell’omone alto e prezioso che scenderà nell’arena contro il reziario, io quello voglio, dice la donna. Il libro sul tavolo, copertina azzurra, per quanto t’ho amato mio caro la terza pagina è bianca.
Torniamo a loro.
E sì che, venendo a casa e sceso dal taxi, il vecchio, perché è un vecchio, avevate dubbi? Aveva qualche dubbio il cameriere con la vista d’aquila, occhio solo?, ha starnutito, ma che vuoi che sia le ha detto, erano così felici, e abbracciati: a casa. E le mani, bagnate, si sono intrecciate più a lungo e i palmi asciugati più in fretta quando, entrati: spogliati. Qualcuno l’ha detto? Ha sentito qualcuno?
E sì che da subito ha avuto freddo, un freddo passato di mano in mano e chissà, umido com’era, quale quarzo si è trasformato in lazurite, il verde dei suoi occhi?
E sì che da subito l’uomo ha percepito il suo disagio quando la doccia bollente quasi non finiva mai perché, lo sapeva, doveva stare sotto il getto più a lungo possibile per ovattare il freddo che aveva dentro.
E lei invece, dolce ragazza, era lì ad aspettare che smettesse perché anche lei aveva freddo nelle ossa. Il luccichio della lumaca, fossile in oro puro sta sul verde panno della memoria.
E sì che il freddo, che l’uomo aveva, ha cominciato a farlo tremare e da subito ha bevuto quel liquore che le aveva portato e che da subito l’ha confortato infiammando lo stomaco. Ma è stanco, come solo i vecchi lo sono perché i vecchi sono tali solo quando lo diventano e lui lo è da tempo.
E le lenzuola sono ghiacce e a poco è servito il calore di lei al suo fianco che stretta l’ha abbracciato e subito ha sentito che aveva voglia ma il freddo fa dire parole sconnesse, tremare il fiato. E, è vero, il calore, il calore del suo corpo gli è servito invece, gli ha fatto bene e si è addormentato.

E sì che ho sognato quasi da sveglio e mi è sembrato nel sogno, che nella realtà percepisco come vivo, il disagio che ho notato in lei si sta lentamente trasformando, direi impercettibilmente, un po’ per il sonno che sonno non è ma insonnia trasfigurata in sogno, in un sentimento meno fluido, qualcosa che assomiglia al sorriso forzato che ha lei quando ad un tratto, svegliandomi in preda a chissà quale angoscia, mi ha chiesto se è tutto a posto, se lo chef è contento dell’escargot e che, mi raccomando, non metta per favore il prezzemolo che quello non mi piace. Certo, ho pensato, noi vediamo quello che vogliamo vedere pur sapendo quello che sappiamo. Serve a questo il sogno? Io sono solo un cameriere, uno che guarda e aspetta, dona conforto alle persone, suggerisce un buon vino e, indiscretamente, legge da lontano qualcosa che sta scritto, agile nella forma e forte nel contenuto, gli occhiali non devo più cambiarli, anche se quelli del vecchio mi piacciono, economia di scala che mia moglie apprezzerà molto anche se devo cambiare una sola lente.

E sì che il vecchio, appena sveglio, ha visto gli angoli delle sua bellissima bocca scendere in un soffio, un niente.
E sì che gli ha ricordato l’impegno del fine settimana, con certi amici non si sa più dove, una vacanza organizzata da tempo, adesso sì che ricorda. Impossibile da spiegare, in tutta evidenza l’incolpevolezza del caso.
E invece no, tutto è scritto e detto e fatto. Ma come sia possibile che solo dopo qualche giorno, giorni avvolti in un grigio pensiero come grigia sta diventando la luce in questo tramonto autunnale, e grigi i loro sguardi, come sia possibile che quasi più niente di benevolo abbiano da dirsi, e grigia è l’atmosfera che avvolge la stanza nonostante abbia smesso di piovere da un pezzo e il sole, causa proprio di questo grigiore, ancora non riesce a fendere l’aria, ma come è possibile?
E sì che forse lui non ha inteso, oppure ha capito davvero che la colpa è, usiamo un piccolo innocuo eufemismo, diciamo molto grande, la colpa è di essere vecchio, ecco, l’ha detto. E pertanto tutto si dilata, si diluisce, il tempo si allunga. E la colpa, già, non viene percepita come condizione naturale, uno stato di fatto che c’è e non potrebbe essere eliminata, l’anagrafica impietosa, feroce ma essenziale, reale, immanente, quella che ti permette di completare un carattere, per quanto complesso sia. Diviene tutt’a un tratto il tempo, un tempo che ha una età per quanto il tempo, come sappiamo, il tempo non ha un’età ma un ritmo costante coerente con i battiti dell’anima, quella cui il tempo si attacca e stacca a seconda dell’umore, stava per dire amore ma è un imbecille e dunque non lo dice.
E sì, dunque è vero lei hai percepito questa sua rilassatezza e avrebbe voluto dirgli cose proprio gradevoli, se solo lui fosse stato meno imbecille e avesse detto ti amo.
E per quanto lei l’avesse amato, per quanto affetto avesse avuto, d’un tratto gli dirà che nessun uomo era meglio di lui che adesso è così vecchio, ma oggi, sempre gli dirà, nessuno è meglio di quel bel ragazzo che ha visto in libreria, quel locale antico dove gli ha comprato il suo regalo di compleanno, un bel libro dalla copertina azzurra, Marziale mi pare, quel giovane uomo che gli ha perfino suggerito il ristorante dove andare a cena per festeggiare, quello dove un cameriere con un occhio solo li avrebbe serviti come un padre attento e premuroso, un predatore di epigrafi e dediche.
Il pensiero di uno sfiorare di mani, uno sguardo leggero, un segno d’intesa, carta assorbente per un cuore liquido.
-          Quel che adesso sei tu, lui sarà domani.
Gli dice leggendo il poeta.
-          Tu dici?
-     Chi può dirlo, ma che importanza ha, tu non puoi tornare ad essere quello che eri, sei vecchio e basta, ne hai colpa?
-          Sì.
Che ti combina il tempo! Anche colpe non tue, ma tant’è, pensa distratto il cameriere, ma proprio questo devono leggere in estremo.
-          Il ragazzo lo voglio adesso, a te ti ho voluto un tempo. Adesso, mi dispiace – in realtà no, non mi dispiace affatto – non ti voglio più.
Exit Marziale e così sia.
Lento sale dalla cucina l’odore schiaffo dell’escargot, fossile puro nella testa di un altro, quello che ha preso il suo posto nel cuore, che neanche sa che vuol dire fossile, quello che diventerà nuovo uomo accanto a lei, il ragazzo della libreria, quello che neanche sa che il profumo è lì che aspetta e non sta nella lingua che incolla alle labbra perché è lì il sapore non dov’è davvero, nel cielo di un ricordo. Ma il ragazzo, che vuoi che ne sappia, è un ragazzo. E a lei, che vuoi che importi.
Il cameriere li ha visti andar via, il braccio del vecchio a cingere le spalle di lei che non sembrano accoglierlo anzi, uno scarto ed è già fuori sotto la pioggia. E sì che si sono incamminati, lei con la sua bella giacca e lui a coprirle il capo con un ombrello cha a malapena ombra un braccio, il suo.
Solo per un momento, sulla porta, le mani si sfiorano. Sul tavolo briciole sparse e un cuore di pietra che da tempo ha smesso di brillare.


-- -- --



Le ammoniti in foto sono opera d' altRa cioccolateria dello chef-pasticcere Andrea De Bellis.
*F.M. sta per Francesco Marchese, amico e collega geologo. Dirigente di una importante società di ingegneria italiana, ha il pregio di portare in ambito lavorativo lo spirito di due delle sue grandi passioni: il cinema e la cultura classica. Quando gli abbiamo chiesto se questo racconto fosse in qualche modo autobiografico,  ha risposto "...forse". Grazie Francesco.











Nessun commento:

Posta un commento