martedì 22 marzo 2016

Terremoti e riti di Pasqua (pane compreso).


Per un particolare sincronismo del calendario 2016, la settimana che precede la Pasqua è anche la prima della Primavera. Una concomitanza piuttosto singolare, se si pensa al valore figurativo della stagione e della ricorrenza cattolica, entrambe simbolo di rinascita e di luce dopo la privazione e la penitenza dell'Inverno e della Quaresima. Quest’anno, per via del plenilunio e del solstizio, la Pasqua è particolarmente “bassa” ed i quaranta giorni di Quaresima che la introducono hanno, di fatto, ridotto il periodo di Carnevale, rendendolo particolarmente breve.


Certamente non come quello che si festeggia a L'Aquila.
fonte Wikipedia
Nel capoluogo abruzzese, infatti, il Carnevale è considerato il più corto del Mondo. L'origine di questa tradizione, che fa partire i festeggiamenti ogni anno non prima del giorno della Candelora, risale al 2 febbraio 1703, quando la città fu testimone e vittima di quello che le fonti storiche riconoscono come il più grave terremoto dell'Appennino centrale. 
La scossa, la più forte di una sequenza sismica che interessò per oltre 5 mesi un settore molto esteso fra Umbria e Abruzzo, fu devastante: L'Aquila fu rasa praticamente al suolo e si contarono migliaia di vittime, circa i due terzi della popolazione. La magnitudo stimata fu 6.7 Richter e l'intensità (nota come "scala Mercalli") pari a X MCS; i morti nell'intera area di risentimento del sisma pare superassero i 20.000.
La città, per segnare in modo indelebile nella propria storia quelle giornate, mutò i colori del proprio stemma dall'antico bianco e rosso all'attuale nero e verde, simboli di lutto e di speranza. 
Questo terremoto viene erroneamente preso a riferimento per un presunto legame con quello del 2009, ma così non è. L'attenta ricostruzione dell'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (I.N.G.V) ci mostra come il sisma più recente sia stato attivato da un sistema di faglie completamente diverso, posto più a sud rispetto all'evento storico del 1703. Nella immagine che segue, presa proprio dal sito web dell'Istituto, si nota chiaramente  la distribuzione dei danneggiamenti superiori al VII MCS causati dai diversi eventi sismici.

Danni superiori a VII MCS terremoti del 14.01.1703 (rossi), del 02.02.1703 (gialli) e del 06.04.2009 (verdi) - da I.N.G.V.
Epicentri così vicini a Roma provocarono danni e panico nella città pontificia.
Crollarono tre archi del secondo anello del Colosseo ed il materiale, nella migliore tradizione, venne utilizzato per costruire i Porto di Ripetta. Numerosi edifici e chiese vennero lesionate, compresa la Basilica di San Pietro ed il Quirinale. 
Fortissima fu la connotazione del terremoto come strumento con cui, nella cultura popolare, si rivelava la volontà di Dio: l'allora Papa Clemente XI ne approfittò per stringere un po' i cordoni allentati dal periodo carnevalesco, ma fu talmente colpito dagli eventi da istituire una apposita commissione scientifica che studiasse la possibilità di prevedere i terremoti.
Per il resto, come ci ricorda l'interessante saggio di V. Castelli e R. Camassi dell'I.N.G.V., nelle aree più danneggiate gli interventi furono "mirati ad assicurare la salvezza di morti, moribondi e sopravvissuti", mentre nelle zone interessate dal risentimento macrosismico "si svilupparono riti di espiazione collettiva e di ringraziamento per lo scampato pericolo".
In un periodo pieno di ritualità come quello quaresimale, nacque e si diffuse in Italia centrale il culto di S. Emidio, vescovo di Ascoli Piceno considerato il protettore dai terremoti.

Oltre a Roma, molti centri limitrofi subirono dei danni, ma di questi non rimangono molte tracce fra i documenti. Tracce che invece si rivelano a ripercorrerne i centri storici, come quello di Sant'Angelo Romano, borgo fortificato di origine medievale che sorge sulla cima di uno dei Monti Cornicolani, in realtà modesti rilievi posti circa 30 km ad est della Capitale. Il gruppo collinare, ideale confine fra la bassa Sabina e la Campagna Romana è un punto privilegiato per l'osservazione dell'evoluzione geologica dell'intero margine che va dal Mar Tirreno all'Appennino. 
Sant'Angelo poggia su un affioramento imponente di Calcare Massiccio, una roccia carbonatica che risale a circa 200 milioni di anni fa, un "alto strutturale" che rimase un'isola emersa nel corso delle ingressioni del mare pliocenico.



Una passeggiata tra le costruzioni, all'interno dell'antica cinta muraria che circonda il Castello Cesi-Orsini, mostra segni sulle strutture e altrettanti interventi architettonici realizzati in funzione antisismica, che sono una testimonianza diretta dei risentimenti dei catastrofici eventi del 1703.


Architrave ribassata a seguito del sisma per il cedimento delle pareti laterali
Un'architettura di ripristino molto funzionale, fatta di speroni e contrafforti, di archetti di collegamento tra i manufatti, che irrigidivano gli spigoli, dove si erano concentrate le sollecitazioni più elevate e realizzata con materiali completamente diversi dalle rocce calcaree con le quali erano state realizzate le abitazioni fino ad allora.


Finestre murate per assicurare la continuità delle strutture



E qualche estemporanea sorpresa geologica, come il Rosso Ammonitico con un bell'esemplare sui gradini della Chiesa parrocchiale.



E' difficile ricostruire se gli eventi sismici settecenteschi abbiano o meno  influito sulla ritualità del periodo quaresimale anche in quest'area. Sta di fatto che molto del simbolismo di questo periodo si riscontra proprio nel cibo che si consuma in questa festività e nella sua preparazione.
A Sant'Angelo Romano è d'uso accompagnare la ricca colazione della domenica di Pasqua con la pizza varata, un "pane rituale" che fonda le radici nella cultura popolare e contadina di queste aree. La voce dialettale, che ha il significato letterale di "arata", è legata alla creazione, con le dita, di solchi sul disco impastato a ricordare quelli dell'aratro e, successivamente, con i rebbi di una forchetta, dei semi, sempre prima della cottura.
Il valore apotropaico, di rinnovamento e di augurio per la nuova stagione in uscita dal periodo quaresimale è perpetuato da secoli a cura delle famiglie santangelesi, che custodiscono gelosamente la ricetta della pizza, uno degli oggetti simbolici per eccellenza e prodotto unico nel panorama della nostra penisola.
Un forno locale permette a tutti di gustarne il particolare profilo organolettico e la indubbia bontà.


Gentilmente concessa dal Forno Alimentari Lucani Gianna
Nella lunga conservazione la pizza perde l'umidità iniziale che la rende particolarmente fragrante; tuttavia, ancora oggi, viene prodotta in quantità "importanti" per il consumo familiare, che si protrae inevitabilmente oltre la ricorrenza pasquale. La ricetta tradizionale prevede dosi significative, con i quali si realizzano oltre 20 pizze del diametro di circa 30 centimetri:

6 kg di farina
6 cubetti di lievito di birra
1 litro di olio EVO
1 litro di acqua
36 uova

La cottura prevede circa 30 minuti di passaggio in forno.



Un video illustra il procedimento di prepararazione di questa pizza e ci invita al consumo nel modo tradizionale farcita con uova sode e corallina, la tradizionale salamella romana, accompagnata da un buon calice di vino rosso.


Geologia e Cucina augura a tutti una Buona Pasqua.



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