martedì 26 aprile 2016

Pietre utili in cucina.


Il legame tra la Geologia e la Cucina più immediato è quello che emerge tra le caratteristiche di un territorio ed una tradizione enogastronomica presente in una determinata regione, il più delle volte declinata in una preparazione, in un ingrediente oppure in un vitigno tipico.
Un filone che merita la riscoperta e l'attenzione è invece quello costituito dai materiali che vengono utilizzati in cucina e che derivano dall'utilizzo delle risorse e dei giacimenti presenti in alcune aree dei Mondo, proprio per la loro natura geologica e petrografica.
Si pensa, spesso, che la coltivazione di giacimenti minerari sia legata all'uso principale nel campo della edilizia o dell'industria, ma esistono aree italiane in cui proprio la presenza di particolarità geologiche ha dato l'avvio alla lavorazione di materiali ed attrezzature legati alle tradizioni agricole ed alla cucina, che il più delle volte hanno avuto un importante riflesso sulla economia di una zona.
E' il caso della pietra coti bergamasca, provenienti dalle cave della Val Seriana, presso Pradalunga.
Bing maps

Si tratta di arenarie fini bioclastiche e silicoclastiche, ovvero rocce dalla grana assimilabile a quella di una sabbia finissima, composte di elementi silicei di origine biotica.
Carta Geologica d'Italia alla  scala  1:100.000 - foglio 33 "Bergamo" - da www.isprambiente.it
Legenda  del foglio 33 "Bergamo" - da www.isprambiente.it

La composizione, come ci ricorda anche il sito della Camera di Commercio di Bergamo da cui è tratta la foto sottostante, è infatti legata "al consolidamento di fanghiglie e melme costituite da minuscoli frammenti di scheletri, detti silicospongee, la cui dimensione massima è di circa 200 micron fusi insieme da cemento calcareo e che si concentrano in sottili livelli, al massimo di qualche decina di centimetri, in formazioni di età giurassica".
da http://www.bg.camcom.gov.it/
Le spicole di natura silicea, come quelle nella successiva immagine, sono disposte in tutte le direzioni ed esercitano una forte natura abrasiva.

tre spicole  di  spugna circondano un granello di sabbia.
Rappresentano lo scheletro dei Poriferi (spugne, dal latino "portatori di pori") ed assumono aspetto e forme tra le più svariate e vengono classificate, per lo più, in funzione del numero degli assi o dei loro raggi.

da www.treccani.it

Altra origine della pietra cote, o pietra da coti, è quella di correnti di torbida (flysch) di età cretacica (80-60 milioni di anni, Coti di Palazzago) dette anche "false coti" dal potere abrasivo inferiore, ma dalla maggiore facilità di lavorazione ed estrazione.
La pietra è stata utilizzata da millenni in agricoltura, per i lavori annessi alla mietitura e trova oggi ottimo uso nella affilatura delle lame ed il loro mantenimento in perfetta efficienza delle attrezzature.
La loro tutela è garantita da un disciplinare che ne qualifica il marchio  di origine, la denominazione commerciale, la descrizione petrografica, l'ubicazione delle cave, le caratteristiche tecniche qualificanti e le specifiche di utilizzo.


Il loro costo, tutto sommato limitato, e la durabilità nel tempo fanno della pietra da coti uno degli attrezzi insostituibili per la affilatura delle lame dei coltelli, come quelli in foto, che appartengono anch'essi alla tradizione regionale e trovano un ampio spazio nell'utilizzo gastronomico della nostra penisola.



Affilare bene un coltello  è un'arte. Ma  anche in casa si  può avere un buon risultato.
I coltelli vengono affilati con lo sfregamento contro la superficie ruvida e dura della pietra affilatrice. Minore è l'angolo tra la lama e la pietra, più il coltello sarà affilato, ma sarà anche meno resistente all'usura e ai colpi che potrebbero rovinare il filo. 
Le lame molto taglienti si affilano a 10 gradi, ma il filo dura meno. Le lame normali si affilano a 15 gradi. I coltelli che hanno bisogno di un bordo duro, come i normali coltelli da cucina di uso comune, si affilano a 20 gradi. Angoli maggiori vengono usati per coltelli da lavoro, come la mannarina dei macellai, che deve tagliare materiali duri come le ossa degli animali. Per un taglio estremamente duraturo di uno scalpello le lame possono essere affilate fino a 25/30 gradi. 
Il segreto per avere un'affilatura corretta è mantenere un angolo costante durante tutta l'operazione applicando contemporaneamente un movimento continuo, circolare o alternato alla lama sulla pietra facendo attenzione a tenere la lama sempre a contatto con la superficie della pietra.
Si contano poi le rotazioni o i movimenti alternati e si ripetete lo stesso numero su entrambi i lati. Il numero di movimenti varia a seconda della durezza dell'acciaio della lama, ne occorrono da minimo 50 a circa 100 per gli acciai più duri.


martedì 19 aprile 2016

Tufo, acqua e farina

Da Roma Orvieto si raggiunge in poco più di un'ora, sia in treno che in autostrada.
Il ruolo strategico della cittadina, oltre che dalla localizzazione geografica quasi al centro della nostra penisola, è dettato anche dalla sua posizione arroccata, su una alta rupe tufacea che le conferisce un ruolo di sentinella rispetto alle sottostanti valli dei Fiumi Paglia e Chiani, che scorrono alla base del colle, prima di immettersi nel Tevere.
La rupe si risale, con un repentino salto di quota, attraverso la "funicolare" che parte dal piazzale prospiciente la stazione ferroviaria e conduce al perimetro del centro storico.

L'attrazione principale di Orvieto è senz'altro la Cattedrale, capolavoro ineguagliato del gotico italiano, edificata a cavallo del 1300, la cui facciata, esempio perfetto di simmetria marmorea, è ornata da tessere dorate di mosaico, che le conferiscono un riflesso unico al tramonto e completata dal ricamo dello splendido rosone.


Orvieto offre numerosi spunti per una visita anche solo di una giornata, con il borgo incastonato tra viuzze e piazze che si snodano quasi in un labirinto, ornate di botteghe, torri e palazzi austeri.


Una delle attrazioni meno conosciute è senz'altro la visita alla Orvieto sotterranea. La città è interessata da centinaia di cavità al di sotto del piano stradale (1200 censite), una rete che  ha segnato il piastrone tufaceo, generata negli anni dalle molteplici funzioni a cui queste cavità hanno assolto: cave per materiale da costruzione, cantine per il deposito, riserve di acqua potabile.
Un interessantissimo percorso, curato dalla Associazione della Orvieto Underground, porta a discendere a pochi passi da Duomo, proprio nel cuore della rupe.


La visita è straordinaria e conduce all'interno di un mondo sotterraneo in cui, oltre a quelli che abbiamo ricordato, si scoprono ulteriori usi degli ambienti scavati nel corso dei secoli. Tra i più caratteristici sicuramente la presenza di un mulino per la produzione di olio, che offriva le condizioni ottimali di temperatura per le operazioni di frangitura e deposito 


Oppure l'utilizzo come "colombarie" che non rappresentavano, come la maggioranza dei convenuti alla visita immaginavano, i mezzi antesignani della odierna comunicazione postale, ma delle vere e proprie riserve di cibo, strategiche nel caso di assedio.


Geologicamente la rupe di Orvieto nasce dall'erosione di una serie di litologie depositate in modalità pressoché orizzontale: si parte da una serie marina di base argillosa del Pliocene, cui sono sovrapposti terreni depositati in ambiente via via continentale (la cosiddetta Serie dell'Albornoz), alla cui sommità poggia il piastrone tufaceo, la Rupe, una ignimbrite tefritico fonolitica, nota come Tufo Litoide a Scorie nere, al tetto tenace ed alla base pozzolanico, proveniente dall'apparato vulcanico Vulsino.

da www.geocoaching.com
La Rupe è visitabile attraverso un percorso ad anello che si snoda lungo tutto  il perimetro della città, anch'esso molto suggestivo, per il duplice effetto paesaggistico che determina la visuale privilegiata sul territorio circostante ed il contatto ravvicinato con le vulcaniti: Le pareti quasi verticali sono interessate da un elevato grado di fratturazione e vengono sono preservate da fitti interventi di consolidamento, lungo tutto l'affioramento roccioso.


Orvieto, nel pieno rispetto della tradizione regionale, offre numerosi spunti per una sosta enogastronomica. Nella nostra recente visita ci ha incuriosito una oleoteca con cucina che ripercorre, nei piatti, un utilizzo consapevole della materia prima e, in particolare, dell'olio che l'azienda produce. Particolarmente suggestivo il "tavolo sociale", ricavato da una grande pietra utilizzata come macina da frantoio, che ricorda nelle forme e nella litologia quella incontrata nella visita sotterranea.


Gli umbrichelli accompagnano la tradizionale lavorazione, che prevede l'utilizzo della sola acqua e farina, all'abbinamento semplice con la salsa "all'arrabbiata". Sono molteplici gli appellativi regionali con i quali si  denomina questo tipo di pasta, spesso legata all'utilizzo di attrezzi semplici che ne caratterizzano le forme: cavatelli, malloreddus, pici, corzetti, fusilli, trofie, strozzapreti e decine di altri. Frutto della "biodiversità" che solo la nostra penisola, sia dal punto di vista gastronomico che geologico, può vantare.

martedì 12 aprile 2016

Il DiVino Rosso Veronese.

Croce e delizia di ogni appassionato, il Vinitaly spegne quest'anno le 50 candeline.
Esistono delle vere e proprie "guide alla sopravvivenza" alla manifestazione che continua, come per ogni nuova edizione, a battere tutti i record. I numeri sono impressionanti: dal 10 al 13 aprile sono presenti 4.100 espositori, dislocati su oltre 100.000 metri quadrati di superficie. Già questo basta a chiarire le dimensioni dell'evento.
Chi non arriva con le idee chiare, con un percorso prestabilito, con un orario di uscita da rispettare, rischia rigorosamente il default.

E chi non ha mai partecipato alla kermesse veronese, almeno alle ultime edizioni, non può immaginare neppure lontanamente cosa ti aspetti oltre i tornelli di ingresso della Fiera.
Interi padiglioni dedicati alle singole regioni italiane, stand di associazioni, agenzie, grandi enologi, enoteche regionali, enti, ministeri, denominazioni, consorzi, vignaioli tradizionali, indipendenti, biodinamici, degustazioni guidate, private, collettive, ospiti esteri: insomma di tutto di più.
Se pensate di andare oltre, gli innumerevoli appuntamenti in città e le manifestazioni parallele dedicate all'olio o alle macchine agricole.


A Vinitaly partendo da Roma con il primo treno delle 06.30, dopo poco più di tre ore, sei già all'ingresso, operativo.
Se intendi seguire la sequenza di una carta dei vini tradizionale e "aggredisci" subito la Franciacorta (regione Lombardia, strategicamente oltre l'accesso), di sicuro prima dell'ora di pranzo giri con un paio di grappe nel calice. Il consiglio di sempre, basato sull'esperienza, è quello di partire da due semplici assiomi:
  • rimanere concentrati su un percorso, in genere tipologia/regione (e non sgarrare)
  • non potrai mai assaggiare tutto. Non farti cogliere, per questo motivo, dalla crisi depressiva post uscita del "non-sono-riuscito-a-provare-quel-vino-di-cui-si-fanno-solo-2000-bottiglie...".
Sopra ogni regola, infine, devi sperare vivamente che, proprio quando hai deciso di tornartene a casa, non incontrerai proprio quell'amico, collega o produttore che non sei riuscito a salutare fino ad allora, durante la tua giornata in Fiera. 
Se questo accade, sei sicuro: seppure ligio alle regole, a quel punto...hai sballato.  
Di un'altra cosa devi essere altrettanto sicuro: se non sei ospite proprio di amico, collega o produttore ovvero se non intendi chiudere ordini di ingenti partite enoiche, a Vinitaly non mangi. O ti accontenti degli affollatissimi e costosissimi punti cibo, o una tra le cose più difficile potrà essere nutrirti. A quel punto parti premunito e ti doti di un panino con la porchetta, acquistato da uno dei chioschi che accompagnano il percorso tra parcheggio ed ingresso. Il panino lo riponi in borsa oppure lo consumi durante la fila per l'ingresso che dura, mediamente, tre quarti d'ora.

Avvertenza per il pubblico del centro Italia: la porchetta è tagliata con la macchina affettatrice e perciò sottilissima. Niente farciture al coltello e croccanti "cotiche" saporite.

Stante queste premesse, come ogni anno, la stessa fatidica domanda: si parte o non si parte?
Se proprio ne puoi fare a meno, Vinitaly è come il Festival di Sanremo: va preso a piccole dosi, magari una volta ogni 3 o 4 anni.
Se però hai deciso di andare, perché è la prima volta o perché di anni ne sono passati 5 dalla tua ultima presenza, allora in bocca al lupo.
E ricordati che sei a Verona, Patrimonio dell'Unesco.
Camminare tra le sue nobili strade offre un'emozione unica: l'atmosfera, la storia, l'architettura, si specchiano su uno dei più antichi materiali da costruzione utilizzati in città, fin dall'epoca romana: il Marmo rosso veronese.
Come raccontato in altri post, il marmo è una accezione commerciale di una litologia sedimentaria tenace e lavorabile, adatta per la costruzione e l'edilizia. Dal punto di vista petrografico il marmo è invece una roccia che deriva da metamorfismo del carbonato di calcio, per intenderci quello delle Alpi Apuane.
Il Rosso Veronese (togliamo "marmo", cosi semplifichiamo) è Rosso Ammonitico, un calcare nodulare estratto dalle cave della Lessinia.
da sito www.venditamarmo.com

Adorna l'Arena,
Arena
le porte romane (Porta Borsari e Porta dei Leoni), i pavimenti di molti edifici e strade, oltre che sculture e chiese della città: è ricco di bellissime Ammoniti che appaiono durante una semplice passeggiata.

Ma non solo ammoniti.
Anche all'occhio non esperto si mostrano dietro ogni angolo sezioni di Echinidi, di Belemniti, come appena entrati a sinistra sul pavimento del Duomo. 
Nummuliti che arricchiscono il cosiddetto Tufo di Avesa (che tufo non è, altra semplificazione commerciale), trattandosi di Calcari Nummulitici dell' Eocene medio e inferiore, che costituiscono gran parte delle dorsali del territorio collinare veronese. La porzione inferiore della formazione è denominata “Pietra Gallina”, mentre quella superiore “Pietra d’Avesa” e adorna il pavimento del Mercato Vecchio o la facciata dell'Hotel Due Torri.
La città è un Museo geologico a cielo aperto.
il balcone di Giulietta e Romeo
Lo studio di questi materiali, che non sfigurerebbero in un qualsiasi Museo di Storia Naturale, ci permette anche di ricostruire la loro esatta provenienza dalle cave della regione, molte delle quali attive già in epoca romana.
Insomma, un'occasione "geologica" in più per visitare la splendida Verona ed abbinare, in questo periodo, l'evento legato al mondo del vino indubbiamente più prestigioso che si svolge nella nostra penisola.
uno spritz all'Arena
Per dovere di cronaca, quest'anno siamo in pausa, le foto del Vinitaly sono della passata edizione.

martedì 5 aprile 2016

Una spiaggia, una panchina e tanta pioggia


L'avventura di questo blog, tra le numerose cose positive, ci ha restituito la voglia di mettere di nuovo scarponi ai piedi e zaino in spalla, senza accampare scuse anche in caso di tempo incerto: si decide e si parte. In questa scelta ci si riproietta, inevitabilmente, al periodo universitario, quando di pioggia se ne prendeva comunque molta.
La curiosità maggiore è quella di tornare, non senza nostalgia, a visitare quegli stessi luoghi nei quali, qualche decennio fa, ci siamo cimentati studenti, magari al seguito di professori verso i quali l'inclemenza del tempo sembrava fosse una costante assoluta, un accanimento proverbiale.

Dalla nostra lista virtuale di sezioni stratigrafiche, affioramenti, ricordi e fossili, abbiamo estratto una strana combinazione, a dire il vero un po' esoterica: la panchina tirreniana, un deposito costiero che si forma nelle zone marine di risacca, ricchissima di resti fossili di molluschi.

Questa formazione è fortemente cementata per la precipitazione del carbonato di calcio e molto povera di terreni "fini" argillosi, che sono stati asportati proprio dal moto delle onde. E' presente in buona parte delle coste italiane e quella "tirreniana" fa riferimento proprio ad un periodo geologico così denominato e riferito al periodo caldo interglaciale Riss-Wurm, quello precedente l'ultima grande espansione glaciale.
Per comprendere l'ambiente di formazione, prendiamo a prestito una immagine esemplificativa del Museo di Geologia e Paleontologia dell'Università di Padova.


In un periodo in cui si fa un gran parlare di cambiamenti climatici, non dobbiamo dimenticare  che, giusto negli ultimi due milioni di anni, si sono verificati fasi che hanno portato ad intense modifiche del clima sulla Terra: fasi fredde, conosciute come glaciazioni, alle quali si sono però intervallati periodi molto caldi, interglaciali, nei quali il Mediterraneo ospitava una fauna ricchissima, tipica dei climi caldi, che oggi si rinviene sulle coste africane del Senegal. In realtà faceva molto più caldo di adesso ! Qui sotto la Patella ferruginea, un "ospite caldo" di origine senegalese presente sulle nostre coste durante le fasi interglaciali  del Pleistocene.


Uno dei principali effetti dell'espansione dei ghiacci e del loro successivo scioglimento furono le oscillazioni del livello del mare che raggiunse quote anche notevoli, oggi ricostruibili solo con attenti studi delle forme terrestri (gradini e terrazzamenti in particolare) e delle specie che ne abitavano gli ambienti, sia marini che continentali.
Una visione completa dell'area è quella che si legge nella cartografia ufficiale del Servizio Geologico d'Italia. I terreni contraddistinti dal numero 11 appartengono alla formazione del Conglomerato di Palo, con grossi ciottoli cementati, spesso forati da litodomi in eteropia o associati a calcareniti tipo panchina a Strombus bubonius del Pleistocene superiore.


                                                                                                                   
La nostra visita si è svolta, come da copione, in una giornata piovosa, partendo dalla spiaggia della cittadina di Ladispoli. In questo tratto la costa è in forte erosione e si procede verso Sud, con qualche difficoltà, su un piccolo sentiero tracciato nel primo terrazzo morfologico della duna a pochi metri rispetto al livello del mare, in direzione del Castello Odescalchi, ai margini dell'area protetta Bosco di Palo Laziale, visibile all'interno della recinzione .



Si tratta di una porzione molto caratteristica del litorale laziale e particolarmente ricca sotto l'aspetto naturalistico la presenza dell'area protetta, che ha limitato la forte spinta urbanistica, creando una condizione di particolare pregio ambientale.


Il Bosco di Palo Laziale (SIC IT6030022) è inserito per tale motivo nella Rete Natura 2000, un network europeo costituito da aree tutelate per la grande rilevanza degli ambienti e degli ecosistemi che le caratterizzano. Notizie ed iniziative si possono trovare alle pagine della Associazione Alsium, che cura anche la gestione dell'Oasi.

 
Una bellissima escursione, da effettuarsi al di fuori della stagione estiva che giunge, a circa metà del percorso verso il Castello, presso un tratto di costa fortemente erosa, in cui la particolare morfologia e le correnti permettono il deposito di un accumulo multicolore di resti di bivalvi e gasteropodi recenti (accompagnati purtroppo da rifiuti), che interrompono la continuità monotona dello scuro arenile di sabbia vulcanica.




Immaginiamo cosa potrebbe accadere se la litogenesi "fossilizzasse" improvvisamente questo ambiente, creando una roccia tenace e ricca di resti di molluschi.
L'erosione mostra una bella sezione di materiale vulcanico alterato e argillificato, testimone di un ambiente continentale e paludoso, con livello bruni più ricchi di torba.


Ovunque sono sparsi segni e testimonianze dei paleoambienti che si sono succeduti: resti di echinide,
 


lamellibranchi litofagi capaci di perforare chimicamente le rocce all'interno delle quali trascorrono l'intera vita e che sono importantissimi per ricostruire le antiche linee di riva, come oggi fanno i cosiddetti "datteri di mare"


e  coralli.



Molti dei molluschi lamellibranchi e dei gasteropodi che conosciamo sotto forme fossili finiscono nei nostri piatti sostanzialmente "immutati" rispetto ai loro antenati. Le cozze, ad esempio, pur essendo specie dal velocissimo adattamento (alcuni studi hanno dimostrato come siano state capaci in pochi anni di ispessire il loro guscio per reagire ad una improvvisa invasione di predatori), mantengono la loro fisiologia e la loro anatomia costante da milioni di anni e occupano la  stessa "nicchia  ecologica".
E finiscono per farci compagnia nelle nostre preparazioni e nei nostri abbinamenti, spesso di rapida realizzazione e di rara efficacia.
Un suggerimento per cambiare associazione per  similitudine è realizzare un  piatto di cozze allo zenzero che con il  suo profumo piccante che ricorda il nostro limone contrasta  alla perfezione con il dolce del mollusco.

L'accumulo di spiaggia attuale


invece ci ha ricordato un fumante sauté di frutti di mare con tanti Murex, un gasteropode  usato in antichità prima dai fenici e poi dai romani per  estrarre il colore porpora e oggi chiamato  "boccone"  o "sconciglio" secondo le  zone.


Per  finire non possono mancare degli  ottimi spaghetti con le vongole magari accompagnati con un po' di bottarga di muggine, un pesce  diffusissimo nelle  nostre coste.